Di Monia Gaita
Miei cari amici, la nostra terra, l’Irpinia, ha bisogno di voi. Il tempo che viviamo va veloce. Questo trancio di suolo che si protende a oriente, sta lottando per la sopravvivenza. Si oppone a due nemici subdoli e beffardi: il primo è la modernità che sradica e cancella, il secondo la tecnologia inconclusa. L’emergenza bussa alle nostre porte, al tedio dei piccoli centri abbandonati, senza strutture e senza un collettivo progetto di riforme. Paesi isolati, senza scuole, senza ospedali, senza palestre, senza servizi per l’infanzia e per gli anziani, senza corse di pullman a sufficienza per spostarsi agevolmente. Il punto è che siamo stanchi di questi tanti “senza” che traboccano dai giorni, della fragilità di un’azione politica che non sa dare acqua e cibo abbastanza a questa accantonata fetta d’Appennino. Abbiamo fame e sete. Abbiamo fame e sete di crescita, di lavoro, di agenti di cambiamento e di giustizia capaci di conciliarsi con l’etica dei luoghi. Dobbiamo rigenerare i nostri spazi, guarirli dai saccheggi e dalla negligenza, vincerne le disfunzioni e gli squilibri: dai trasporti alla filiera agroalimentare, dall’artigianato al comparto rurale, turistico e commerciale. A incalzare i nostri borghi, ci pensa da un lato, la rivendicazione di indipendenza nei confronti della città capoluogo, il voler conservare intatti l’epitelio dei campi, la fisionomia appartata dei vicoli e delle case, dando voce alla più profonda vocazione agricola di questi territori, dall’altro la volontà di non finire estromessi dai processi del lavoro e dalle dinamiche della produttività. Lo strappo con Avellino è manifesto, la divaricazione tra il mito Irpinia e la realtà quotidiana dell’Irpinia è sotto gli occhi di tutti. Come possiamo rimediare al vuoto abitativo e alle buche dei non ritorni? Dovremmo vendere le case a 1 euro per popolare i paesi durante l’estate trasformandoli in mete di vacanza occasionale? È questa la soluzione? Come possiamo invertire la strozzatura demografica che rende questi posti dei ricoveri per vecchi? Come possiamo aiutare il controesodo e riportare i fuoriusciti nei nostri comuni? Dobbiamo cooperare alla rinascita dei paesi. Non accontentarci dei visitatori della domenica. Ad agosto è un piacere l’arrivo dei villeggianti e degli oriundi: anima le piazze e spolvera le sedie dal chiuso e dal silenzio dell’inverno. Ma non sarà questo a salvare i paesi, a indennizzarli dei danni del disimpegno e del disinteresse. Accanto al superbonus del 110% c’è un bonus che non possiamo perdere e che va messo nella legge di bilancio: quello che incentiva e riqualifica la nostra terra. Abbiamo bisogno di un bonus contro l’arretratezza. Abbiamo bisogno di un vaccino contro le strade scalcagnate, l’intermittenza digitale, il virus della solitudine, le competenze calpestate. Contro lo stallo dell’occupazione e la prassi del precario, i paesi hanno bisogno di intrecciare le proprie potenzialità con quelle del mercato. Hanno bisogno di fabbriche e di cultura, la necessaria derrata al di là della quale i principi del progresso e dello sviluppo non trovano collocazione. Non possiamo sottoscrivere un trattato con la separatezza. Disponiamo di tutte le risorse necessarie per camminare sulle nostre gambe. Non ci servono le stampelle o i deambulatori con ruote che giungono da lontano. Non è vero che tutto ciò che viene da fuori è migliore e più bello. Dobbiamo volere bene ai paesi, proteggerne l’identità, averne cura, trattenere l’esercito dei partenti, dei partiti e dei partendi (quelli che partiranno). La mancanza d’amore è la polmonite interstiziale più pericolosa: va combattuta con programmi concreti prima che sia troppo tardi. Intanto serpeggia il timore della disgregazione. Che l’Irpinia si irpinizzi, che non contempli le sue rovine, che riprenda il timone della sua esistenza! Non diventiamo una minoranza smemorata, senza una rotta, senza una patria!