“La lotta alla mafia non può avere colore politico”. Lo sottolinea con forza l’ex magistrato Pietro Grasso, ospite del festival Laceno d’oro, in occasione della proiezione di “Iddu” di Antonio Piazza e Fabio Grassadonia, ispirato alla latitanza di Matteo Messina Denaro in collaborazione con Libera. “Oggi si è parlato dei giovani e della figura di Matteo Messina Denaro, in particolare del film ispirato alla sua latitanza. Molti dicono che è stata una latitanza “comoda”. – spiega Grasso – Ma come si può definire “comoda” una latitanza del genere? E’ stata una vita vissuta nell’ombra, costantemente in fuga, non certo una “latitanza comoda”, non certo espressione di un’avventura gloriosa, ma di un’esistenza miserabile. Si nascondeva come un topo, in condizioni spesso degradanti. Non c’è nulla di comodo o romantico in una vita del genere”. Si sofferma sulla “differenza principale tra la mafia del tempo del maxiprocesso e quella di oggi. E’ che oggi abbiamo a che fare con una mafia silente, che si nasconde, che ha mutato volto e si è adattata all’evoluzione della società. Utilizza molto di più la tecnologia, si nasconde dietro le criptovalute, sfrutta comunicazioni crittografate e server inaccessibili per fare affari. Tutto questo rende il contrasto più complesso. Tuttavia, la repressione giudiziaria, per quanto necessaria, non basta: magistratura e forze di polizia devono essere affiancate da tutte le istituzioni. La lotta alla mafia non può avere colore politico. Occorrono risorse, strumenti tecnologici adeguati e un impegno condiviso, affinché si possano combattere efficacemente questi fenomeni. Inoltre, bisogna educare i cittadini a non dare più consenso alla mafia. Dire “no” alla mafia è la vera forza che può portare al successo nella lotta contro di essa”
E sul ruolo del cinema per sensibilizzare sul tema della lotta alla mafia “Il cinema, la letteratura e le immagini hanno un ruolo fondamentale, soprattutto quando trasmettono messaggi che ridicolizzano la mafia e ne mettono in evidenza i lati negativi. Questo è particolarmente utile per i giovani, che devono essere stimolati a riflettere criticamente sul fenomeno. I giovani devono acquisire la capacità di distinguere il bene dal male e di evitare di mitizzare figure come i boss mafiosi. Ad esempio, glorificare un personaggio come il “capo dei capi” è un’operazione culturalmente sbagliata, perché potrebbe portare ad un’idealizzazione di figure che in realtà producono solo carcere, sangue e morte. È importante rappresentare il fenomeno in modo critico attraverso film, documentari e altri strumenti culturali”. E sulla serie “Gomorra” spiega di aver “apprezzato molto i film su Giancarlo Siani, che portano un messaggio di speranza e di resistenza. Gomorra, invece, rappresenta la realtà in modo crudo, ma è necessario che, dopo la visione di queste serie, si affronti il tema in maniera critica. Bisogna interrogarsi su come evitare il ripetersi di quelle situazioni, coinvolgendo tutti, dalle istituzioni ai cittadini. La rappresentazione artistica, che unisce realtà e finzione, può essere utile, ma deve sempre riportare il focus sulla vera natura del fenomeno mafioso, affinché si agisca concretamente per contrastarlo”
Sottolinea l’importanza di far capire che la criminalità esiste anche in territori apparentemente lontani dal cuore di mafia e camorra “Bisogna far emergere tutte le contraddizioni di un territorio in cui, ad esempio, per ottenere un lavoro, si è costretti a rivolgersi a persone legate ad organizzazioni criminali. Il fenomeno delle estorsioni, del pizzo, o il coinvolgimento nell’economia sommersa sono segnali chiari. Oggi la mafia si nasconde meglio, si mimetizza, ma continua a incidere profondamente negli affari e nell’imprenditoria legale, fornendo servizi o liquidità a chi è in difficoltà. È necessario che i cittadini prendano posizione e facciano scelte nette, rifiutando ogni forma di compromesso. Solo così possiamo davvero contrastare la presenza mafiosa sul territorio.
E sulla separazione delle carriere.” A questo proposito, porto una testimonianza personale: la mia professionalità si è arricchita proprio nel momento in cui, dopo aver svolto il ruolo di giudice, sono passato a quello di pubblico ministero. Questo passaggio mi ha permesso di comprendere quanto sia fondamentale che i criteri di valutazione della prova siano alla base delle azioni anche del pubblico ministero. È necessario, infatti, che il pubblico ministero prepari il suo lavoro in modo tale che le prove possano resistere al controllo della difesa e del giudice”