Nella convulsa vigilia dell’elezione del successore di Sergio Mattarella si sta forse esaurendo la parabola dei due movimenti populisti che hanno egemonizzato l’intera legislatura. La crisi colpisce a destra come a sinistra, chi sta nel governo e chi ne è fuori: scuote i Cinque Stelle, storditi dalle inchieste che hanno colpito il loro fondatore e padre-padrone, e rivela l’inconsistenza di Lega e Fratelli d’Italia, ancora ammaliati dalla sirena berlusconiana e inchiodati all’incapacità di indicare un credibile candidato al Quirinale espressione del centrodestra. Sia Matteo Salvini che Giorgia Meloni continuano a ripetere di essere pronti ad annunciare il, o i, nomi dei loro campioni, e prima o poi scioglieranno la riserva; ma al momento restano in attesa di avere il via libera dal componente più debole della loro alleanza, il che non depone a favore del presunto sovranismo che rivendicano. Se poi si riflette sul fatto, troppo presto archiviato, che non più tardi di due mesi fa gli stessi leader della destra non riuscirono ad esprimere candidati competitivi per la partita dei sindaci delle grandi città, e persero quasi ovunque, c’è di che dubitare sulle loro odierne probabilità di successo. Intanto. nella Lega si sta aggravando la frattura fra i presidenti delle Regioni alle prese con le logiche del governo locale e gli ammiccamenti no vax del loro Capo, a Roma. Insomma, una volta fallita la strategia dello scoiattolo messa in campo da Berlusconi (o da Sgarbi), quella del coniglio che Meloni e Salvini promettono di tirar fuori dal cilindro non appare meglio impostata. Vedremo, oggi stesso, nell’incontro a tre finalmente programmato a Roma.
A sinistra, nell’area di governo, il declino dei Cinque Stelle assume le tinte fosche della caduta degli dei. La presunzione di non colpevolezza, che si deve a qualsiasi inquisito, indagato o imputato, non si addice a chi ha promosso il semplice sospetto al rango di prova passata in giudicato, e su questa mistificazione ha costruito consensi strepitosi, una legislazione giustizialista e una prassi politica spregiudicata, passando disinvoltamente da una coalizione all’altra, alleandosi con i reprobi di ieri e ripudiando i compari del giorno prima. Anche in questo caso, come in circostanze precedenti, ci si potrà interrogare sui tempi più che sospetti delle indagini e del loro disvelamento all’opinione pubblica; ma è un fatto indubitabile che l’azzoppamento di Beppe Grillo per via giudiziaria coincide con la manifesta incapacità del Movimento, affidato alla maldestra guida di Giuseppe Conte districarsi nei meandri di una trattativa sofisticata come quella in atto per il Quirinale. Chi tra i Cinque Stelle sembra essere stato capace di ritagliarsi un ruolo e costruirsi un futuro è il solo Luigi Di Maio, che deve le sue attuali fortune all’appoggio trovato nell’alta burocrazia ministeriale, soprattutto alla Farnesina, con ciò però contravvenendo alla narrazione populista e antipolitica del Movimento che pure ha guidato per anni.
Ora, tutti i nodi stanno venendo al pettine, e proprio in vista dell’appuntamento più importante. L’imbarazzo di Conte, che ha candidamente confessato a Letta e a Speranza di non esser sicuro di poter “tenere” tutti i suoi parlamentari, apre però uno squarcio preoccupante sull’epilogo del populismo a Cinque Stelle.
di Guido Bossa