Non mi appassiona il conflitto politica-magistratura che fa suonare il tam tam in questi giorni facendo salire sul banco degli imputati, a seconda dei casi, giudici o corrotti e corruttori. Viviamo in uno Stato di diritto in cui diritti e doveri, se perseguiti, sono il sale della democrazia. Io penso che i fans dell’uno o dell’altro impegno sociale, magistrati e politici, debbano misurarsi sulla capacità di stabilire e difendere la legalità nell’esclusivo interesse del bene delle comunità. Per cui, io credo, che l’attuale dibattito che s’inserisce nella nuova e diversa tangentopoli, serva esclusivamente a creare grande confusione nella pubblica opinione, come se non ci fossero altre emergenze a cui fare fronte. In soldoni mi sento di affermare: chi ruba, chi corrompe, chi non segue le regole del buon amministratore va giudicato per quello che ha commesso; chi giudica, di contro, deve farlo con l’equilibrio che si deve nei confronti di chi viola le regole della convivenza. Questa breve premessa, a cui si aggiunge il dovere del garantismo nei confronti dell’indagato con la formula dell’innocenza fino a sentenza definitiva, mi è utile per riflettere su due casi che riguardano la difesa della legalità. Il primo: la vicenda giudiziaria che sta coinvolgendo il Comune della città capoluogo; il secondo, una oggettiva valutazione sulle nuove ricchezze in Irpinia, e non solo, che non trovano sempre riscontro da parte delle istituzioni che a volte o sono distratte, o non hanno personale sufficiente per far fronte alle emergenze, o, cosa ancora più grave, si comportano come le tre famose scimmiette che non parlano, non vedono e infine non sentono. Nel primo caso, la vicenda giudiziaria che ha investito il Comune capoluogo: è evidente che la Magistratura, a mio avviso, ha compiuto il proprio dovere difendendo la credibilità delle istituzioni e perseguendo coloro che a danno dei cittadini hanno violato i principi della legalità. La mia opinione è che la vicenda nei suoi contenuti non si è conclusa. Penso che nel pentolone della cattiva gestione amministrativa ci siano molte altre vicende che non hanno consentito ai giudici di revocare lo stato di arresti domiciliari nei confronti dell’ex sindaco di Avellino, Gianluca Festa, nonostante l’acuta e approfondita competenza e le motivazioni presentate dai suoi legali. Quale azione hanno determinato i provvedimenti emessi? Intanto il primo risultato è di aver ripristinato, almeno spero, un minimo di legalità nell’Ente, ritenendo che si faccia chiarezza anche per quanto riguarda la burocrazia che ha consentito agli amministratori di perseguire i reati contestati. Come dire: chi sa parli. Il secondo caso riguarda le emergenze non perseguite per i più diversi motivi, o meglio il fenomeno delle ricchezze improvvise o strutturalmente presenti in città e in provincia, che agiscono in un clima di impunità e che con il loro fare inquinano la realtà con legami che hanno a che vedere con la criminalità organizzata, meglio dire camorra. Nella relazione annuale della Commissione antimafia si accenna solo agli affari in Irpinia dove vecchi e nuovi clan hanno scoperto aria fresca e usano imprese locali per mettere le mani sulla città, violando ogni regola e beneficiando dei necessari e dovuti controlli per ristabilire la legalità. Su queste emergenze che interessano la vivibilità e la democrazia del tessuto sociale a me pare che o per mancanza di informazioni, o peggio ancora, per distrazioni riconducibili a motivi diversi, si è poco attenti. In un recente editoriale avevo accennato a provvedimenti interdittivi nei confronti di alcune imprese. Niente si è smosso, per quanto ne so. Vorrei sbagliarmi, nel qual caso chiedo scusa a coloro che sono impegnati nel ripristino della legalità, ma nutro grande preoccupazione per i miei e i vostri nipoti.
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