Nei Comuni, solo i primi cartelloni con le foto dei candidati fanno ricordare a una opinione pubblica distratta e presa da ben altri problemi che il prossimo 20 settembre si voterà in sette regioni, in un migliaio di enti locali e per il referendum sulla riduzione dei parlamentari. Mai come stavolta i fattori di incertezza sono tanti e di varia origine. Mai come ora, però, il popolo italiano corre il rischio di essere distratto dagli obiettivi più importanti. E indotto in errore dagli stessi comportamenti dei partiti, attentissimi ai propri interessi immediati di bottega. E quindi alla conquista di una regione o di un consigliere in più. Strabici, però, di fronte ai rischi di un indebolimento delle stesse nostre libertà democratiche – con la riduzione dei deputati e dei senatori delle province e delle zone meno popolate – che la conferma della pseudo – riforma voluta dai grillini comporterebbe.Cominciamo dai fattori di incertezza. La presentazione delle liste per le regionali ha evidenziato la moltiplicazione in particolare di quelle senza simbolo di partito ma comunque riconducibli ai loro patron politici, perchè riconoscibili grazie a simboli o denominazioni particolari. L’estendersi di questo fenomeno denota le crescenti ristrettezze in cui si dibattono i partiti, sempre più in diffficoltà nel riuscire ad ottenere consensi diffusi. Coloro che decidono quasi tutto sono i diversi aspiranti-governatori, ormai titolari di un potere incontrollato e arbitri anche delle sorti elettorali di molti parlamentari. Essi ricorrono a notabili locali. E inserirscono nelle diverse liste qualche loro protetto, ma con patti elettorali che rimangono ignoti all’opinione pubblica. Una situazione che non può non far meditare sulle debolezze del nostro sistema politico e sul futuro di una democrazia sempre più dipendente dalle intese fra poche persone. Si vota, poi, in un periodo in cui le famiglie vivono ancora i residui di un’estate resa particolare dal Covid e dalle incertezze del ritorno a scuola dei loro figli. Per cui è facile prevedere che anche questo fattore peserà sull’af – flusso alle urne. E questo contribuirà, sia pure in misura ridotta, a favorire i partiti più strutturati e con un più solido apparato. Altro fattore è dato dalle norme anti-Covid che dovrebbero impedire le grandi riunioni di folla, modificando fortemente ì’approccio dei candidati verso gli elettori. Un altro effetto, certamente notevole, è l’impatto che la gestione del lockdown avrà sul consenso elettorale. La gestione dell’emer – genza da parte dei governatori costituirà infatti il criterio determinante nelle scelte degli elettorii. Tuttavia, è un altro l’elemento più scandalosamente distorsivo della campagna elettorale. La sproporzione evidente tra la grande attenzione che gli apparati politici rivolgono alla elezione di questo o quel candidato. E l’assenza, invece, di una seria valutazione dei rischi che l’approvazione della riduzione del numero dei parlamentari comporterebbe. Finalmente anche il Pd sembra svegliarsi dall’abulia. E riconsiderare il proposito di appoggiare la sciagurata, improvvisata e demagogica idea di Di Maio. Non originata da alcuna ponderata riflessione sul rapporto costi- benefici. Il risibile risparmio ottenibile (circa 6o milioni annui, cioè un caffè per ogni italiano) sarebbe annullato dai molteplici inconvenienti che inciderebbero sulla qualità della rappresentanza democratica. La notevole crescita (mediamente di un terzo) della estensione dei collegi. L’enorme potere concentrato nelle mani di una casta ristretta di eletti. La loro lontananza dai territori periferici, soprattutto delle province e delle aree meno popolate del nostro Paese. La maggiore (in proporzione) riduzione dei rappresentanti delle regioni più piccole E l’assoluto predominio di deputati e senatori delle città e delle zone costiere, che avranno più consistenti rappresentanze parlamentari. Il tutto a spese delle aree e delle province più interne, già soggette a spopolamento. Esse, in molti casi dovranno dire addirittura addio alla possibilità di eleggere un proprio deputato o un senatore. E perciò di fare sentire la propria voce in Parlamento! Ne vale la pena, per un caffè?
di Erio Matteo