Rivive il 6 e 7 aprile, a Vallata, il centenario rito del Venerdì Santo, uno dei più antichi e uno dei più suggestivi riti dell’intero Mezzogiorno d’Italia. Il rito risalrebbe al 1541, anno della prima attestazione storiografica, secondo la quale la fiorente comunità ebraica, stabilitasi in paese e dedita al commercio di bestiame, lungo la rotta verso la vicina Puglia, si convertì al cristianesimo e prese parte a tali rappresentazioni. Le prime fotografie invece risalgono al 1928.
La tradizione vuole che i giovani si vestano da soldato romano in costume da littore o da centurione, come prova di iniziazione attraverso l’esibizione fisica, sfidando i rigori del freddo, indossando una corazza e sfilando tra la folla, che assiste al lento dipanarsi della rappresentazione religiosa, per denunciare la propria esistenza alla comunità. Oltre ai simboli del potere romano (dall’ Aquila latina con due alabardieri alla Grande Guida, da Cesare Imperatore con Lictores a Pilato), sfilano i cosiddetti “Misteri”, oggetti simbolo esibiti dagli incappucciati, e tele settecentesche, di antica fattura, rappresentanti le scene della vita e della morte di Cristo, con frasi del racconto evangelico di San Giovanni. Partecipano alla Processione circa duecento figuranti. Il passo di tutti è cadenzato dal ritmo di un suono caratteristico di tromba e tamburo, che contribuisce a creare un ambiente di commossa riflessione sul grande mistero di dolore di Cristo.
Ad accompagnare la meditazione alcuni “cantori” che, in gruppi di cinque o sei elementi, cantano i versi della “Passione di Gesù Cristo” di Pietro Metastasio, composti nel secondo periodo della sua vasta produzione caratterizzato dal suo melodramma ispirato a sincera devozione e slancio mistico. I versi, per la loro scarsissima diffusione letteraria, sono stati per anni tramandati oralmente o attraverso incerti scritti, per cui avevano preso un forte accento dialettale risultando incomprensibili alla maggioranza degli astanti. A chiudere la processione il feretro del Cristo morto circondato dal sindaco e dai medici del paese e l’Addolorata circondata da bambine con bandierine listate a lutto.
L’appuntamento dunque è per il 6 aprile, quando all’imbrunire, dopo la solenne funzione religiosa “Missa in Cena Domini” con la consueta lavanda dei piedi, si svolgerà la suggestiva processione “aux flambeaux” del Giovedì Santo, con cattura, condanna e flagellazione del Cristo conclusa con il tradizionale suono di tromba e tamburo. Venerdì 7 aprile, alle ore 11 prenderà il via la cinquecentenaria processione del Venerdì Santo o del Cristo morto.