Di Guido Bossa
Più si avvicina la scadenza del voto per il rinnovo del parlamento europeo (giugno del prossimo anno), più diventa necessario per Giorgia Meloni decidere come schierare il suo partito nella competizione elettorale, anche per evitare che i divergenti orientamenti dei gruppi che in Italia compongono la maggioranza di governo incidano negativamente sulla capacità di condizionare le scelte che i vertici della Ue dovranno assumere dopo l’espressione del voto popolare. La situazione attuale presenta un vistoso paradosso: i tre componenti della coalizione che in Italia hanno formato un esecutivo stabile e coeso fanno capo a tre grandi “famiglie” politiche europee che a Bruxelles si combattono aspramente. Forza Italia aderisce al Partito popolare, che insieme a socialisti e liberali guida le istituzioni dell’Unione (Commissione, Consiglio e Parlamento); Fratelli d’Italia ha con Giorgia Meloni la presidenza del gruppo Ecr (Conservatori e Riformisti, centrodestra) cui aderiscono il Pis polacco e lo spagnolo Vox; la Lega fa parte della destra sovranista ed euroscettica di “Identità e democrazia” insieme ai francesi di Marine Le Pen, ai tedeschi dell’Afd e ad altre formazioni minori. Le ultime elezioni nazionali in Polonia, Spagna e Olanda hanno evidenziato un limitato spostamento a destra dell’elettorato, non tale da compromettere i rapporti di forza nella prossima legislatura che dovrebbe dunque veder confermato l’attuale equilibrio imperniato sull’asse popolari-socialisti. Ma questa prospettiva potrebbe imbarazzare la leader del governo italiano, che ovviamente vorrebbe contare di più anche in Europa. Ancora recentemente Giorgia Meloni ha ribadito di non prendere in considerazione una collaborazione con le sinistre a Strasburgo e a Bruxelles, mentre ha cercato di avvicinare il suo partito alle posizioni dei popolari che, sotto la guida del tedesco Manfred Weber hanno accentuato il proprio conservatorismo. Anche nell’azione di governo la presidente del Consiglio ha molto annacquato gli accenti sovranisti e antieuropei propri della destra italiana, riscuotendo l’apprezzamento di diversi colleghi capi di governo. Ora, man mano che l’appuntamento di giugno si avvicina, la premier dovrà decidere se proseguire su questa strada per entrare stabilmente nel ristretto club che conta in Europa, magari scendendo a patti con i socialdemocratici tedeschi e i liberali francesi di Macron, o puntare ad un ribaltamento delle alleanze, mettendosi alla testa di una corrente neoisolazionista in grado di trattare da posizioni di forza con i moderati. Una scelta in questa direzione, sollecitata da Matteo Salvini, sconfesserebbe la linea fin qui seguita da Fratelli d’Italia, e provocherebbe uno scossone nella maggioranza di governo a Roma, irritando i forzisti di Antonio Tajani che si troverebbero spiazzati al centro dello schieramento. Prima di decidere, Meloni dovrà anche prendere in considerazione l’evoluzione del dopo voto nei tre paesi già citati: in Spagna i suoi alleati di Vox sono fuori dal governo del socialista Pedro Sanchez, in Polonia il Pis, uscito vincente dalle elezioni, non riuscirà a formare una coalizione e quindi l’incarico passerà al liberale Donald Tusk, in Olanda il vincitore Wilders, antieruopeo e amico di Salvini, rischia di trovarsi isolato. Per Giorgia Meloni il tempo delle scelte si avvicina, e l’esito del voto di giugno sarà determinante.