di Gerardo Vespucci
Si succedono a ritmo incalzante gli interventi tanto preoccupati quanto generosi rivolti verso le zone interne a rischio desertificazione [anche se nei nostri paesi, specie nelle ferie d’agosto, giovani emigrati un po’ ovunque, tornati per pochi giorni per poi ripartire, hanno consumato eventi di ogni tipo, tale da far sorgere in loro l’illusione che ogni piccolo centro fosse un quartiere di New York!]: ultimi, i Vescovi italiani, che, in questi giorni a Benevento, hanno svolto un convegno specifico sulle aree interne.
Al termine del quale, essi hanno prodotto una lettera, firmata da ben 139 tra Cardinali, Arcivescovi, Vescovi e Abati, con la quale, in maniera forte e convinta, invitano governo e Parlamento a non rassegnarsi allo spopolamento dei piccoli centri, valorizzandone le potenzialità con politiche coraggiose e durature, per non «lasciare le società locali – e in particolare i piccoli centri periferici – alle prese con nuove solitudini e dolorosi abbandoni».
Nella lettera, opportunamente, si giunge persino a contestare in modo netto il documento governativo sulle zone interne (Piano strategico nazionale delle aree interne), definito, senza giri di parole, come «un invito a mettersi al servizio di un suicidio assistito di questi territori», visto che il documento governativo definisce lo spopolamento come un processo ormai irreversibile, da accompagnare più che da contrastare.
I Vescovi, ovviamente, non si limitano alla pars destruens ed offrono diverse indicazioni concrete per invertire il senso di marcia.
Personalmente, diffido di chi costruisce la pars costruens di un progetto ragionando per elenchi di cose da fare, come se finora fossero mancate le idee – o gli slogan -, tuttavia, in questo caso voglio tacitare il mio spirito polemico e fare mie tutte le proposte dei Vescovi.
Non posso, però, tacere che anche i Vescovi rischiano di peccare di ingenuità, quando dopo avere ricordato che la comunità ecclesiale resta uno dei pochi presìdi capillari rimasti in queste zone, si augurano di ricevere attenzione da parte del Governo e del Parlamento con i quali avere un dialogo sereno e costruttivo.
Dov’è l’ingenuità? Intanto nei tempi che simile dialogo implica: da noi il tempo è quasi scaduto!
Ma è soprattutto nel pensare che le soluzioni possano e debbano venire essenzialmente dal Governo, ignorando che lo sviluppo dall’alto non è assolutamente possibile, né auspicabile, come l’intervento post sisma 23 novembre insegna.
Ed allora? l’unica possibilità che abbiamo è attivare un doppio e contemporaneo flusso: up/down, ma soprattutto quello bottom/up. Quindi una sinergia a doppio flusso, ma con la centralità del basso, che acquista coscienza e determina l’alto e non viceversa: ed è qui il difficile!
Tradotto in soldoni, in attesa che il Governo prenda coscienza dell’errore proclamato sulla irreversibilità dei processi – tacendo sulle altre considerazioni, si tratterebbe di abbandonare un patrimonio edilizio e strutturale di enorme valore -, chi davvero ha a cuore le sorti di queste realtà, deve avviare, paese per paese, il censimento di tutte le risorse disponibili, così da ottenere la vera fotografia di ogni territorio omogeneo [si pensi all’Alta Irpinia, ad esempio], dal punto di vista naturalistico, storico ambientale, economico sociale, istituzionale, strutturale, strumentale ed al centro di tutto, le risorse umane.
Lo so che la fretta di fare qualcosa di straordinario e visibile porta molti a discutere di assi viari e ferroviari, di grandi sistemi comunicativi, ma i problemi dei piccoli centri in via di estinzione richiedono interventi specifici mirati, anche micro, che siano efficaci per creare occasioni di lavoro di vario genere – non i semplici sussidi che stanno inebetendo i pochi giovani rimasti -, con una prospettiva almeno di media durata per consentire un progetto di vita e procreare – il problema, alla fin fine è tutto qui: bambini ne nascono sempre meno, con tutto quello che ne consegue.
Ma accanto al lavoro, anche agendo con interventi in dimensione puntiforme, bisogna garantire una qualità di servizi accettabili per rendere la vita di chi resta almeno decente: quando tempo fa lanciai l’allarme sul Cinema Nuovo di Lioni, pensavo a questo!
Solo se si capiscono davvero i problemi reali allora anche discutere col Governo centrale potrà avere un senso.
Prendiamo, ad esempio la condizione scolastica nelle zone interne: se consideriamo l’intera provincia di Avellino, si scopre che nel prossimo anno scolastico, 2025-26, ben 17 scuole, di diverso ordine e grado, avranno un DS reggente. Di queste 17, ben 8 si trovano nell’Alta Irpinia. Da Montella a Lacedonia, si salvano solo i Comprensivi di Montella, Lioni Sant’Angelo e l’Omnicomprensivo di Calitri! A Lacedonia, sostanzialmente, sono oltre 15 anni di assenza di un DS stabile.
Il Reggente, lo ricordo, è un titolare su altra scuola che quindi può garantire la propria presenza al massimo per due giorni nella scuola a reggenza, tolti alla scuola di titolarità: si può mai garantire serietà, coerenza, unità, continuità? Ed allora: in questo caso trovare la soluzione sicuramente spetta al Governo – centrale e regionale -, ma dopo avere assicurato il DS, l’orientamento in ingresso (verso le Superiori) e l’uscita (verso l’Università) è un problema della scuola o del territorio? Quando avviammo a Lioni una classe di Istituto Tecnico Superiore con il Bruno di Grottaminarda, al di là di una attenzione momentanea, quasi nessuno se n’è ricordato in seguito, sebbene avessimo diplomato 22 ragazzi tutti occupati in loco.
Tempo fa, ancora attivo come DS, proposi all’Arcivescovo di Sant’Angelo di organizzare incontri nell’elegante auditorium del Seminario di Sant’Andrea con gli studenti dell’Alta Irpinia; suggerii addirittura di convocare i due rappresentanti di classe delle Superiori della zona – da Sant’Angelo a Montella, da Nusco, a Caposele, da Lioni, a Calitri da Bisaccia a Lacedonia: si sarebbero ascoltati centinaia di ragazzi che di solito nessuno interpella. Purtroppo, non si è mai fatto.
Per concludere questo mio invito ai Vescovi, sempre per partire dal basso, ricordo loro altri due possibili interventi concreti e ricchi di prospettive.
La prima: a Monteverde è stato messo in atto un progetto clamoroso, che punta trasformare l’intero paese – già premiato dall’Europa – in un’isola dedicata alle disabilità di ogni tipo, compresi i non vedenti. Il percorso per ipovedenti e carrozzelle è già predisposto, in questi mesi si sta lavorando per attivare la struttura ricettiva, in grado di ospitare decine di disabili. Purtroppo, una gestione pubblica non è facile, né proponibile: la Chiesa può fare qualcosa? Se partisse davvero l’accoglienza, si creerebbero d’incanto un centinaio di posti di lavoro, soprattutto per i giovani e si darebbe a persone in difficoltà una grande gioia di vivere!
La seconda: in un territorio pianeggiante, tra Sant’Andrea di Conza e Conza, è allocato un terreno che un tempo, nel lontano 1953, fu destinato a Campo Sperimentale per l’Agricoltura.
Ad attivarlo fu l’Ente d’Irrigazione Apulo Lucano che, essendo stato allargato ad una decina di paesi irpini, tra cui Sant’Andrea, individuò quell’area pianeggiante di ben 22 ettari. A far data da quegli anni sono state coltivate diverse essenze vegetali, finanche il tabacco; diversi alberi da frutta e pomodori. Tra alterne vicende, era attivo anche durante il post sisma 1980. Poi si è chiuso e dopo vari passaggi è diventato un Vivaio della Regione Campania – che ne detiene la proprietà – per poi chiudersi definitivamente. Attualmente giace abbandonato con due fabbricati che, ristrutturati, potrebbero avere varie funzioni, compreso quello di un ostello per giovani studenti delle Superiori e dell’Università.
Se immaginare di rimetterlo in vita poteva essere velleitario qualche anno fa, oggi, con la presenza dell’Istituto Tecnico Agrario produzione e trasformazione – aperto presso il Maffucci di Calitri, quando io ne ero DS – dovrebbe o potrebbe essere credibile una gestione mista tra scuola, Enti locali, come la stessa Comunità Montana, privati ed Enti morali.
Caro Arcivescovo, anche questa è una grande opportunità per determinare una discontinuità, specie se poi aggiungiamo il possibile utilizzo del Seminario di Sant’Andrea per accogliere studenti Universitari delle varie Facoltà di Agraria viciniore, a partire da quella blasonata di Portici.
So che tutto quello che ho scritto non è affatto di facile realizzazione, ma, come diceva Blaise Pascal, le belle frasi le abbiamo tutte pronunciate, ora si tratta di applicarle!