Il voto è alle spalle. Le grandi emozioni si sono consumate: la prima donna leader a Palazzo Chigi, il tintinnio della campanella che passa di mano in mano, la novità di un governo di centrodestra che per quasi un ventennio era rimasto in panchina. Quello che non è mutato, anzi è peggiorato, è il quadro economico del Paese, il conflitto in Ucraina, la pandemia del Covid, la povertà inseguita da un’inflazione che segna cifre record. E poiché è difficile sintonizzarsi insieme con tutti questi problemi, preferiamo guardare al Sud, a questo granellino nel cosmo, che sebbene partecipe alla disgrazie alrui, intende riflettere sulla sua condizione. Di Mezzogiorno il nuovo governo ha detto poco. Per ora ha solo suonato il piffero dell’autonomia differenziata. Ci vuole ben altro. Certo, non il Ponte sullo Stretto che attira, fra l’altro, poteri malavitosi. O gli sbarchi degli immigrati che il buon Piantedosi deve gestire si spera al meglio, garantendo in primis i diritti umani e la sicurezza di tutti. Ciò che occorre è una grande mobilitazione democratica per realizzare reti infrastrutturali che abbrevino i tempi fra Sud e Nord ed l’Europa, e verso i paesi del Mediterraneo. Questo è futuro. Per ora, ed è davvero poco il tempo trascorso, tante parole, neanche una buona intenzione. Intanto, visto il fallimento delle regioni meridionali nel trovare una linea d’intesa su un grande programma di investimenti per l’intero territorio del Sud, e considerato che gli enti locali nella loro asfissia finanziaria non riescono neanche a soddisfare i bisogni primari delle comunità, ogni prospettiva di speranza di rinascita non può che non venire dai fondi europei, primi fra tutti quelli previsti dal Pnrr. Ma chi li governa? E in che modo? Carfagna aveva cominciato a ragionare non solo dal punto di vista delle quantità delle risorse (40 per cento al Sud), ma anche tessendo il filo della utilizzazione delle risorse stesse per un grande progetto di sviluppo meridionale. Cambia il governo, cambia il responsabile del dicastero, cambia anche il nome e ora si ricomincia daccapo. Con il silenzio, poi con la riformulazione del Pnrr e rimettendo in discussione quel reddito di cittadinanza che, pur nelle sue imperfezioni, rappresenta un contrasto alla povertà di una platea vasta e variegata tra giovani e meno giovani. Che fare? Per rimettere il Mezzogiorno in pista riteniamo che siano indispensabili due strumenti di consultazione. Il primo. Un coordinamento di tutti i parlamentari meridionali eletti nel recente Parlamento con la creazione di un laboratorio che metta insieme tutte le proposte che provengono dalle realtà meridionali e definisca, in tempi brevi, un programma di sviluppo per il Sud. Secondo. Una cabina di regia che intercetti tutti i fondi disponibili per il Sud, europei, nazionali e straordinari, e che, in contatto con il coordinamento dei parlamentari meridionali renda puntualmente conto del lavoro svolto. Così, solo per cominciare, visto il grande vuoto di proposte che attraversa l’intera area del Mezzogiorno, ovviamente al netto di quelle intorno al buon vino e alla gustosa gastronomia. Tarallucci e vino non bastano. Riflettete responsabili.
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