“C’è un filo rosso che unisce il Risorgimento e la Resistenza. Sbaglia chi contrappone queste due pagine della nostra storia, poiché sono, nello stesso modo, all’origine dell’identità italiana, fondamenta di un paese democratico e repubblicano. Né è un caso che i giovani della Resistenza si definissero protagonisti un secondo Risorgimento”. Lo sottolinea il professore Luigi Mascilli Migliorini nel presentare il suo libro “11 maggio 1860” nella sala Blu del Carcere Borbonico. Un incontro impreziosito da un percorso dedicato all’impresa dei Mille nelle sale del Museo. A confrontarsi con l’autore i docenti Viviana Mellone e Claudio Spagnuolo, introdotti dal professore Mariano Nigro del Comitato di Storia del Risorgimento “Insistere sul Risorgimento, dimenticando la centralità della Resistenza nella costruzione dell’Italia Repubblica è uno dei trucchi- spiega Migliorini – che a volte si usano nella comunicazione politica. E’ vero che i vincitori della Resistenza furono i monarchici, ma sarà, poi, l’Italia Repubblicana a vincere con la Resistenza e la nascita di una Repubblica antifascista. Proprio in quell’occasione l’Italia si ritroverà unita contro il fascismo che l’aveva divisa in due, la Resistenza ci renderà consapevoli di una tradizione democratica che la monarchia non aveva saputo interpretare”. Ribadisce la necessità di “non perdere mai di vista valori che sono parte della nostra identità poichè sappiamo bene come la storia possa conoscere momenti di smarrimento”.
E sui revisionismi sostenuti dai Neoborbonici “Il problema della fine della monarchia sono stati i Borboni, se avessero giocato bene le loro carte, sarebbero stati loro i protagonisti dell’unificazione del paese ma non furono all’altezza della storia e questa è una condanna che non ammette possibilità di appello”. Ricostruisce con attenzione il momento dell’ingresso a Marsala di Garibaldi e dei suoi uomini “Mentre le navi dei garibaldini sbarcavano, navi inglesi erano ferme nel porto di Marsala, cornice nei giorni precedenti di rivolte, mentre due navi borboniche si allontanavano, dopo che la situazione sembrava essere tornata alla normalità. Avvisate dell’arrivo dei garibaldini, tornarono indietro e comunicarono al console inglese la volontà di lanciare cannoni per colpire le navi di Garibaldi. La risposta degli inglesi fu netta, se i cannoni avessero colpito le loro navi, avrebbero considerato quell’atto come un attacco. Gli inglesi avevano ormai capito che con i Borboni il Regno delle due Sicilie che insisteva sul Mediterraneo, al centro degli interessi di quella che era la maggiore potenza internazionale, non avrebbe mai potuto essere uno Stato Liberale, nè tantomeno avere stabilità. In questo modo avrebbe rappresentato un pericolo per gli interessi inglesi nel Mediterraneo. Mancò da parte dei Borboni l’intelligenza politica e sfumò il sogno di vedere Napoli, capitale d’Italia”. Ricorda come Cavour, autentico liberale aveva chiara l’idea dell’Unità, sapeva che senza il Mezzogiorno l’Italia non sarebbe potuta esistere, immaginava però che ci volesse tempo perchè il progetto si compisse. “Invece ci vollero dieci mesi. Sarà Vittorio Emanuele il primo a costruire sul territorio italiano uno Stato con un Parlamento e una Costituzione”. Ricorda come “il volume ’11 maggio 1860′ sia nato dal progetto di Laterza di raccontare le date che hanno segnato la storia del paese. Di qui la scelta della data dello sbarco dei Mille a Marsala”. Confessa come inizialmente “non mi piaceva il personaggio di Garibaldi, mi sembrava un eroe disordinato e arruffone. Mentre è stato tra gli attori più importanti della storia italiana, poichè come disse Palmerston di lui, era ciò che pensava e faceva ciò che era. Anche oggi avremmo bisogno di uomini che abbiano questo rigore”. Si sofferma poi sulle storie bellissime dei Mille “Intorno a Garibaldi viveva una nuova generazione che credeva negli ideali di libertà, un entusiasmo e un fervore che mi sono sembrati attuale. Anche oggi ci interroghiamo sulla mancanza di ideali dei nostri giovani ma non è assolutamente così”.
E’ Claudio Spagnuolo a porre l’accento sulla capacità dell’autore di collocare la spedizione in un contesto più ampio, che unisca motivazioni politiche e strategie militari, senza dimenticare l’influenza dell’impresa dei Mille sull’immaginario collettiva, a cui si accompagnarono criticità e ambiguità. “Migliorini chiarisce come Garibaldi seppe mettere da parte lo spirito repubblicano, accettando di passare da posizioni democratiche a liberali non per ragioni di opportunismo politico ma per la sua inclinazione ad essere uomo di azione”. I Borboni, prosegue Spagnuolo, dimostrarono i loro limiti come regnanti, “a partire dall’inadeguatezza di Francesco II che ignorò l’esperienza napoleonica e i suggerimenti di Francia e Inghilterra di promuovere riforme”. Ricorda come “la spedizione dei Mille era diventato il segreto di Pulcinella, tutti sapevano ma facevano finta di non sapere e tutti erano pronti ad appoggiarla”. Per poi ricordare come il processo dell’unificazione appare ancora oggi non del tutto compiuto con “ferite che restano nel tessuto sociale ed economico”.
Mellone insiste sulla duplica prospettiva che accompagnò la spedizione, ben delineata da Mascilli Migliorini, da un lato quella monarchica, dall’altro quella popolare e meridionale “Il Risorgimento appare in questo modo una rivoluzione mancata. E sarà difficile per il mondo democratico accettare il compromesso, fino a che non prenderà coscienza di come unità e indipendenza siano l’unica strada per realizzare la democrazia. La stessa costruzione dell’eroismo risorgimentale sarà una sorta di compensazione della sconfitta politica”. Pone l’accento sui due Sud che caratterizzavano il Regno dei Borbone, da un lato Napoli che aveva conosciuto l’esperienza francese e la fase riformistica del 20-21 con l’adozione di una Costituzione democratica, dall’altra Palermo con una Costituzione conservatrice “Fu, poi, la dura repressione di Ferdinando II a determinare una felice congiunzione dei liberali napoletani e siciliani in esilio”.