A Rione Parco vivono circa 3mila avellinesi, ma nel loro quartiere sono rimasti aperti solo un Tabacchi e un Bar-Pasticceria. Poi il nulla. L’ultimo presidio di socialità rimasto è la chiesa di don Emilio Carbone, la chiesa della Madonna delle Salette. E’ da 40 anni che i vari sindaci promettono la riqualificazione, ma nessuno è riuscito a mantenere l’impegno. Quarant’anni di vacui tentativi che oggi restituiscono un’evidenza dolorosa. Tanto dolorosa che ormai nessuno si aspetta più soluzioni spettacolari, ma si aspira almeno all’adozione di pochi provvedimenti fondamentali, dai quali partire per tornare almeno sui binari di una ragionevole dignità.
IL PROBLEMA CASA
E al primo posto ci sono le case: la priorità assoluta è quella della riqualificazione degli alloggi popolari, ricavati in una serie di palazzine che sorgono una in continuità con l’altra, e che ormai versano in condizioni di evidente degrado. E nel bel mezzo di questo agglomerato di palazzine c’è un cantiere dove se ne stava costruendo una nuova, ma è fermo da oltre dieci anni. Tutto si è bloccato a causa del sequestro del terreno sottostante dove sorgeva un supermercato. Quella palazzina nuova è rimasta uno scheletro, e nel cantiere, sopra la testa di chi abita intorno, svetta una mastodontica gru, un gigante di ferro nient’affatto rassicurante.
I FONDI CI SONO MA NON VENGONO UTILIZZATI
Per non parlare dei trasporti: i residenti dicono che i pullman passano una volta ogni ora e mezza, quando va bene, e le fermate non hanno nemmeno una panchina dove far sedere i tanti anziani che per fare la spesa devono raggiungere il centro città: l’ultimo alimentari di Rione Parco ha chiuso la primavera scorsa. Ma visto che non bisogna mai perdere la speranza, qualcosa di concreto la si può fare, come ci spiega Mario Sorice: la sua è una testimonianza ‘qualificata’, perché oltre ad essere nato e cresciuto in questo quartiere, è anche segretario del sindacato degli inquilini Federcasa-Avellino, ed è stato consigliere comunale fino al luglio scorso, quindi conosce gli ingranaggi della macchina amministrativa. “E’ inutile fare promesse faraoniche – spiega ai lettori del Corriere dell’Irpinia –, ci sono fondi già appostati che aspettano solo di essere usati. Mi riferisco ai cira 560mila euro dei Prius, stanziati per l’abbattimento delle palazzine popolari ormai vuote e anche altri fondi, sempre regionali, approvati per l’abbattimento di altre due palazzine e per la successiva bonifica dell’area. A frenare l’azione del Comune c’è però il fatto di non avere i soldi per poter intervenire, subito dopo la bonifica, con la costruzione di nuove case, ma con un po’ di buona volontà si può iniziare almeno a fare il primo passo. Del resto la prima palazzina è già quasi completamente disabitata, restano solo una o due famiglie”. Il guaio è che questi fondi regionali hanno una scadenza: se entro la fine dell’anno non verranno utilizzati, si perderanno, e bisognerà iniziare da capo tutta la procedura.
LA CHIESA DI DON EMILIO CARBONE
Nel frattempo resta la battaglia quotidiana che questi 3mila avellinesi devono affrontare per andare avanti. Di questi 3mila, un 10 per cento è composto da stranieri: provengono dall’Europa dell’Est, dall’Africa e dal Pakistan, che nella maggior parte dei casi sbarcano il lunario con lavori domestici e di assistenza alle persone più anziane. “Alla fine è rimasta solo la parrocchia di don Emilio Carbone a dare un supporto quotidiano alle persone del rione – dice Pietro Pellecchia, presidente dell’Ami, Associazione mariana irpina che ha sede proprio nell’edificio della chiesa della Madonna delle Salette -. La parrocchia funziona in pratica come un centro di ascolto aperto h24. Tutti i giorni si rivolgono a noi i residenti del quartiere, per avere un supporto morale e materiale. Distribuiamo pacchi alimentari una volta al mese alle famiglie più bisognose. Offriamo ascolto ai problemi delle famiglie, e posso dire che il problema principale, che riguarda un po’ tutti è quello del lavoro. Ormai è difficile trovare un’occupazione e anche chi lavora non riesce a guadagnare quel minimo necessario per far fronte alle spese quotidiane. E’ la piaga di questi nostri tempi. Insieme a Don Emilio facciamo il possibile, anche insieme all’azione cattolica e al catechismo, ma è evidente la situazione di estrema crisi in cui ci troviamo. Basti pensare al fatto che nel quartiere non c’è più nemmeno un negozio, anche l’ultimo alimentari che c’era ha recentemente chiuso i battenti. Ora qui vicino, di fronte alla chiesa di Santa Maria delle Grazie, stanno costruendo un nuovo supermercato, ormai è quella la deriva: solo centri commerciali. E’ impossibile immaginare che qualcuno decida di aprire qui un qualsiasi altro tipo di attività commerciale. Del resto la crisi sta colpendo anche le attività commerciali del centro città, figuriamoci nei quartieri periferici”.
LE PROMESSE NON MANTENUTE
Fa una certa impressione scorrere i nomi di tutti i sindaci che negli scorsi decenni si sono confrontati con questo difficile problema: Antonio Di Nunno, Giuseppe Galasso, Paolo Foti, Vincenzo Ciampi (in carica 8 mesi), Gianluca Festa e, solo per un anno, Laura Nargi. Il mantra era sempre quello di “riammagliare” il popoloso rione al centro della città (peraltro vicinissimo, visto che a poche centinaia di metri ci sono già piazza Castello e il teatro Carlo Gesualdo). Ma intanto il Rione sta sempre peggio. L’unico diversivo dai problemi quotidiani forse resta proprio lo show dei politici che si rinnova ad ogni campagna elettorale.
La nuova festa, in questo senso, è prevista a breve: dalla primavera prossima, per le Amministrative 2026, si tornerà a stringere mani e a dare pacche sulle spalle. Intanto ci aspetta un altro inverno di strade deserte, campetti sportivi che scompaiono per fare posto a più prosaici parcheggi per auto, edifici ristrutturati per poi rimanere chiusi: uno su tutti quella grossa villa che per qualche tempo ha ospitato il comando dei vigili urbani; è stata ristrutturata e nel corso dell’ultima consiliatura è stata destinata a sede del Piano di Zona Sociale, ma ad oggi il grande cancello d’ingresso è ancora chiuso. Ci si arriva davanti e se si guarda alla sua sinistra si vede anche un piccolo campetto in cemento, anch’esso abbandonato, impraticabile, ormai mangiato da una vegetazione che cresce rigogliosa.