Fallito l’obiettivo del contenimento di Matteo Salvini, il secondo governo Conte sta rischiando di perdere anche l’ancoraggio europeo che pure aveva fornito una giustificazione politica alla sua nascita, poco più di due mesi fa. La maggioranza parlamentare che all’inizio di settembre ha dato vita all’esecutivo giallorosso rispecchiava infatti quella che a metà luglio aveva eletto la democristiana tedesca Ursula von der Leyen presidente della Commissione europea: una coalizione di centrosinistra che a Roma comprendeva anche i grillini (partito di maggioranza relativa) e a Strasburgo i popolari; anzi, la convergenza dei Cinque Stelle sulla candidatura dell’ex ministra della Difesa di Berlino era stata attribuita all’abilità politica di Giuseppe Conte che in tal modo aveva aperto la strada al suo reincarico in Italia, con l’ingresso al governo del Pd e la chiusura alla Lega.
Ora, però, a Bruxelles gli equilibri sembrano vacillare proprio nelle settimane in cui a Roma non si arresta l’avanzata di Salvini, già escluso dagli accordi europei e quindi, si pensava, destinato a vedere ridimensionate le proprie ambizioni. Succede che la Commissione von der Leyen stenta a passare il vaglio dell’Europarlamento e quindi ad insediarsi. La data del 1° novembre, prevista inizialmente, è passata invano; l’appuntamento dell’inizio di dicembre potrebbe essere quello buono, ma manca ancora il visto dell’assemblea per tre commissari che dovrebbe arrivare la prossima settimana. E, quel che più conta, negli scrutini di gradimento fin qui espressi si sono manifestate significative novità. La procedura di approvazione delle candidature è piuttosto complessa, ma almeno in un caso l’assenza di un deputato leghista è stata determinante per dare il via libera al francese Thierry Breton, mal digerito dai socialisti d’Oltralpe, che hanno addirittura denunciato la spaccatura della maggioranza.
Ora il finale di partita è rinviato all’inizio di dicembre, quando l’intera Commissione sarà sottoposta al voto di fiducia, necessario per l’entrata in carica. I progressisti europei temono uno spostamento a destra del baricentro politico, con l’appoggio dei “sovranisti di governo”, polacchi e ungheresi, alla maggioranza imperniata sui democristiani tedeschi e i liberali di Macron. Ma in questo caso, che farà Salvini? E come reagiranno, a Bruxelles e a Strasburgo, i tedeschi della Spd? Una risposta è prematura, ma intanto si può rilevare che il complicato avvio della nuova governance europea colloca il capo leghista in una situazione privilegiata. Può scegliere di avvicinarsi al gruppo di comando uscito vincitore ma di poco alle elezioni di maggio, oppure assumere la guida delle opposizioni sovraniste i cui consensi sono in crescita soprattutto nei paesi del Nord e dell’Est del continente. A questa seconda ipotesi farebbe pensare l’annunciata partecipazione in veste di protagonista al raduno delle destre europee organizzato per il 2 dicembre ad Anversa da un partito separatista belga insieme al Rassemblement national di Marine Le Pen e alla Fpo austriaca; ma la partita è tutta da giocare, e la prevedibile instabilità del quadro politico brussellese potrebbe dare ulteriori carte da giocare al leader leghista: la vicepresidente della Commissione, la danese Margrete Vestager ha già ipotizzato accordi con i partiti sovranisti per ottenere l’approvazione di alcuni dossier controversi. Se a questa situazione in movimento si aggiunge il fatto che nel parlamento di Strasburgo i Cinque Stelle, non essendo riusciti ad entrare in alleanze stabili, siedono per il momento fra i “non iscritti” e quindi hanno poco peso, si vedrà come la coalizione di governo italiana, vista dalla capitale dell’Europa comunitaria, appaia a rischio.
di Guido Bossa