di Mino Mastromarino
Succede che a Napoli, in piazza Municipio, venga collocata – sia pure temporaneamente –
l‟installazione artistica del compianto scultore Gaetano Pesce, dedicata a Pulcinella e intitolata “Tu
si ‘na cosa grande” .
Il corpo centrale, alto ben 12 metri, è imponente e sostenuto da una struttura metallica che sovrasta
lo spazio circostante. Con un‟ardita rielaborazione della maschera partenopea, l‟artista pare abbia
voluto offrirne una rappresentazione figurativa più corposa, per meglio insediare un simbolo
popolare nelle sfide e nella complessità attuali .
La forma della scultura portante, per il suo corrivo riferimento fallico, ha monopolizzato la reazione
dell‟opinione pubblica, infilandola nelle strettoie del politicamente corretto. Addirittura si è formato
un comitato di matrice femminista al dichiarato scopo di contrastare la ri-affermazione del
patriarcato cui la detta opera sarebbe preordinata. Certo, sotto il sintagma di arte contemporanea ,
prosperano e si sono sviluppate tendenze, anche molto diverse, quali il minimalismo, l‟arte
processuale, l‟arte povera, l‟arte concettuale. Il suo inizio è fatto risalire al famoso „orinatoio fatto a
mano‟ (readymade Fountain) che Marcel Duchamp recapitò, sotto lo pseudonimo di R. Mutt, alla
prima e più importante mostra mondiale d‟arte moderna, organizzata a New York nell‟aprile del
1917. Come poi spesso accadrà per le nuove creazioni artistiche, questa fu illustrata da una
didascalia a tenore della quale: “Che il signor Mutt abbia fatto o meno Fontana con le proprie
mani non ha importanza. L’ha scelta. Ha preso un normale articolo quotidiano, l’ha posto in modo
che il suo significato utilitario scomparisse sotto il nuovo titolo e il nuovo punto di vista – ha creato
una nuova idea per quell’oggetto”. Tanto a significare che si può fare arte sradicando un oggetto
dalla sua funzione e dal suo contesto, senza creare manufatti e senza aggiungere nulla all‟esistente.
Arte come distrazione, in luogo di creazione.
La ricezione moralistica del Pulcinella di Pesce pone la carsica domanda se l‟arte contemporanea,
vera o presunta tale, sia fruibile da tutti o esiga una specifica alfabetizzazione estetica. La risposta
– a sua volta – condiziona le modalità di esposizione e la connessa individuazione del pubblico di
destinazione. Si è condivisibilmente detto che, quando si parla di opere d‟arte contemporanee site
specific, si intendono quelle ideate e realizzate per un preciso contesto ambientale, culturale e
sociale, quale il programma espositivo all‟interno di musei e gallerie. L‟artista seleziona ab initio il
suo pubblico.
Allorchè, invece, la creazione artistica si rivolga a un contesto indifferenziato per definizione,
essendo ospitata da una via o da una piazza pubbliche, essa non si innesta in una cornice
culturalmente definita, e come tale ne è difficile decrittarne la portata simbolica. L‟artista non è
tuttavia esonerato dalla affettazione di segni della trasformazione del paesaggio urbano (o rurale)
che la sua attività artistica ha compiuto. E dalla necessaria interazione dell‟opera con lo stesso.
Un esempio, giudicato riuscito, è il Cretto di Burri a Gibellina, considerata la più grande opera di
Land art in Italia. Essa è consistita in una colata di cemento sull‟assetto viario della città vecchia,
distrutta dal terremoto, che, rappresentando un velo bianco sulle macerie e sul dolore dei
terremotati, è assurta a emblema della memoria ed elemento territoriale idiosincratico.
La curatrice del controverso Pulcinella, Silvana Annicchiarico, intervistata pochi giorni fa dal
Corriere della Sera, ne ha tentato una genealogia:
«Il bozzetto e il modello rispettano in scala la forma che Gaetano aveva ideato: in piazza la
dimensione reale può effettivamente favorire l’interpretazione fallica. Ognuno vede quello che
vuole nell’arte, ed è giusto così. Io credo che bisogna porre l’attenzione su quello che rappresenta
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la figura trasformativa ed enigmatica di Pulcinella nella tradizione popolare partenopea, che è
maschio ma anche femmina o nessuno dei due. L’opera è alta, ma esile, maestosa ma fragile:
elementi fondamentali sono i tiranti che tengono figurativamente in equilibrio l’instabilità
dell’essere Pulcinella. La maschera è tutto e il suo contrario: i tiranti ricoperti di romantici fiori
tengono insieme le sue identità».
E‟ vero che l‟installazione artistica è uno strumento espressivo duttile, costituito da vari elementi od
oggetti disposti in uno spazio, strumentale alla sintesi di linguaggi e mezzi espressivi diversi, dai
più tradizionali a quelli tecnologicamente più avanzati, comprendendo materiali grezzi o
manipolati, elementi meccanici o elettrici, video, componenti sonore o musicali, immagini
computerizzate.
Non convincono però né il relativismo soggettivo assoluto del fruitore ( «ognuno vede quello che
vuole nell’arte»); nè il qualunquismo metamorfico di Pulcinella ( «la maschera è tutto e il suo
contrario»).
Non riusciamo a capire cosa di creativo evochi la massiccia foggia cilindrica dell‟opera . Certo, si
può sempre arguire che essa corrisponda alla ( e richiami idealmente la) imponenza turrita del
Maschio Angioino.
Non di meno, il rovello principale resta quello di convincersi che la installazione possa
qualificarsi come arte. Per la precisione, installazione d‟arte. Essa non sembra poter innescare il
dispositivo di immaginazione, essendo afflitta da infecondità allegorica, tanto da farne un oggetto
esteticamente statico e inidoneo a rappresentare alcunché di diverso da quello che appare ed è.
Il Pulcinella tubiforme, con tutto il suo carico volumetrico, collide con lo spazio urbano occupato,
non assomiglia nemmeno a un prodotto artistico defunzionalizzato e decontestualizzato secondo
l‟idea-guida di Duchamp, ossia la trasfigurazione del banale; per il semplice motivo che la rivisitata
figura di Pulcinella risulta destrutturata, essendone indecifrabile ogni tensione verso l‟ implicito
pensato dall‟autore.
Qualcuno ha detto che “La storia dell’arte è una storia di profezie ”. Non siamo in grado di stabilire
se la installazione di Pesce sia l‟annuncio del rilancio ovvero della crisi dell‟arte (contemporanea).
Ma che proclami la fine della bellezza, invece sì.