Racconti di produttori autentici e tradizioni vive, in una Terra che non registra nuovi PAT da tre anni. Un tesoro che lo Stato non vede, ma che il popolo custodisce.
ARIANO IRPINO. Tra orti sociali, forni storici e caseifici di famiglia, l’Irpinia resiste nel silenzio generale, con un patrimonio enogastronomico che rischia di restare invisibile.
Applausi e emozione aprono la serata dedicata a DivinIrpini, introdotta dal video del TG3 di Rino Genovese, che racconta la storia degli orti sociali nati nell’ex zona rossa: un esempio concreto di come questa terra sappia rinascere dal basso, intrecciando agricoltura, solidarietà e cultura del fare. Un servizio che diventa simbolo di una comunità viva, fatta di mani, resilienza e orgoglio.
Negli orti sociali, infatti, oggi si coltivano non solo ortaggi, ma storie di rinascita e inclusione. I fondi agricoli sono diventati spazi d’incontro tra persone vulnerabili e non, unite dal lavoro della terra e da percorsi di musicoterapia e socialità condivisa. Parte della produzione viene donata a chi è in difficoltà: un modello concreto di economia solidale che restituisce dignità e senso di appartenenza.
A raccontarlo è Rossana Marra, coordinatrice e direttrice del progetto CampóVillage, nonché padrona di casa della Taverna delle Monache — un’ex distilleria sapientemente ristrutturata che oggi ospita una cooperativa per il sociale. “Si può lavorare solo dove te lo consentono – sottolinea Rossana – e oggi il nostro territorio ha bisogno di mani, non di promesse.”
Il CampóVillage è l’esempio vivente di questa filosofia: un luogo che trasforma la fragilità in opportunità, unendo il recupero degli spazi alla valorizzazione umana e agricola del territorio.
A fare da cornice alla serata, anche una lotteria delle eccellenze gastronomiche locali: pane, formaggi, conserve, dolci e salumi, simboli di una ricchezza antica che non ha mai smesso di produrre valore, anche senza riconoscimenti ufficiali.
L’assenza che pesa: tre anni senza nuovi PAT
A denunciare il paradosso è il dottor D’Amato, che sottolinea come tutti i produttori presenti siano perfettamente autorizzati, ma nessuno riconosciuto come PAT (Prodotto Agroalimentare Tradizionale).

Un dato che fa riflettere: da tre anni in Irpinia non viene inserito alcun nuovo prodotto nell’elenco nazionale dei PAT, visto che il 60% di essi, a livello italiano, riguardi produzioni di origine animale. Chi meglio dei veterinari – spiega D’Amato – potrebbe garantire la salubrità e l’autenticità di queste eccellenze?
Eppure, nel silenzio istituzionale, le tradizioni si spengono, una dopo l’altra.
Volti e storie di un patrimonio vivo
Il viaggio tra i produttori racconta una Irpinia minuta, coraggiosa e geniale.
C’è Michele Scrima con il suo cacio barile, il cacio delle monache e il caciocavallo occhiato della Costa delle Rose; i fratelli Romolo, che dal 1963 custodiscono l’olio Ravece e Marinese; la famiglia Macchiarello, che da quarant’anni trasforma i prodotti della terra in conserve sott’olio; e la Gaudiciello, dove miele, olio e cereali raccontano un equilibrio fragile con la natura.
Carmela Riccio coltiva legumi e grani antichi – marzolina, risciola, senatore Cappelli – nella tradizione di Castelfranco in Misciano.

Al Forno Sorelle Belardo, da 38 anni, nascono biscotti e il celebre Tronchetto alla Nutella, mentre il Caseificio Grelle di Venticano rinnova la tradizione delle vacche rosse con lattica e yogurt.
Storie di famiglia come quella di Gina e Guido, macellai per amore e per mestiere, che stagionano i loro salumi “con tempo, aria e pazienza”.
E ancora Gina Marra, custode del casatiello dolce e dei panzerotti di ricotta, Antonio Corso con il suo pecorino di Laticauda allevato a Casalbore.
Dal pane contadino della Matrella (forno del 1954, oggi alimentato a legna d’ulivo) alla Pasta Genua di Vittorio, fatta con grano marzellina, fino al vino di Orneta e alla ciambuttella di Grottaminarda, ogni prodotto è un racconto di resistenza e di identità.

“Il successo di un piatto nasce soprattutto dalla materia prima” – Ezio Ventre, chef locale, che porta avanti la tradizione del Tricolle con la 3ª generazione.
E tra i piatti simbolo, la pandella di agnello di Sant’Andrea di Conza, ricetta tramandata da secoli: mollica, prezzemolo e formaggio dentro una tasca di carne che profuma di festa e memoria.
DivinIrpini: la carta d’identità del gusto vero
Il dottor D’Amato propone DivinIrpini, una carta d’identità dei produttori e dei loro prodotti: riconoscere, valorizzare e collegare tutte le eccellenze nascoste, come un tesoro da scoprire, senza passare per logiche associative o burocratiche.“Vogliamo cercarli tutti, come cani da tartufo.”
Nuove generazioni: speranza e continuità
A fine serata fanno il loro ingresso due giovani imprenditrici che custodiscono PAT storici:

• Ernestina Gambale – insalata bagnolese
• Sara Moscariello – caso muschioDue volti che dimostrano come tradizione e innovazione possano convivere, dando futuro a ciò che il tempo rischia di dimenticare.
Oggi più che mai serve una politica che riconosca chi produce valore reale. I PAT non sono solo marchi: sono patrimonio culturale e identitario, da trasmettere alle nuove generazioni. In Irpinia, dove ogni campo e forno racconta una storia, il vero rischio non è la globalizzazione: è l’oblio.
Il gusto dimenticato merita di tornare a essere orgoglio collettivo




