Rispetto alla posizione della CISL, contraria ai referendum abrogativi in materia di lavoro dell’8 e 9 giugno, l’Associazione “Precari in Rete – Poste Italiane”, con sede in provincia di Avellino (a Montella), intende esprimere il proprio dissenso attraverso una lettera aperta indirizzata ai lavoratori e alla società civile.
Amici lavoratori, colleghe e colleghi,
con amarezza e sconcerto abbiamo preso visione della recente comunicazione della CISL, che si schiera apertamente contro i referendum sul lavoro. Riteniamo che la loro analisi risulti inadeguata, parziale e pericolosamente lontana dalle reali necessità di chi quotidianamente lotta per un futuro lavorativo dignitoso.
Sostengono che “il lavoro non si difende guardando al passato”. Ma come possiamo costruire un futuro solido se non impariamo dagli errori del passato, da quelle riforme che hanno progressivamente eroso diritti e tutele, aprendo le porte a una precarietà dilagante che soffoca le speranze di intere generazioni?
Ci spiegano che il ritorno all’Articolo 18 è una chimera, che il referendum ci riporterebbe alla Legge Fornero. Certo, tecnicamente non si tratterebbe di un ritorno integrale all’Articolo 18 nella sua vecchia formulazione. Ma la vera domanda è: perché accontentarsi di un sistema che ha dimostrato le sue fragilità, che ha lasciato troppi lavoratori in balia di licenziamenti spesso immotivati? Eliminare il contratto a tutele crescenti significa, prima di tutto, riconoscere che quella strada intrapresa non ha portato i risultati sperati, anzi, ha contribuito a creare lavoratori di serie A e di serie B.
Precisano che la reintegra per i licenziamenti illegittimi esiste ancora in alcuni casi, che la Corte Costituzionale ha fatto dei passi avanti. Bene, ma non basta! Vogliamo un sistema che scoraggi i licenziamenti ingiusti, che dia ai lavoratori la certezza di non poter essere messi alla porta da un giorno all’altro senza una valida ragione. Il referendum va in questa direzione, verso un rafforzamento delle tutele.
Sentiamo dire che non c’è stato un aumento dei licenziamenti dopo le riforme. Forse le statistiche dicono questo, ma chiedetelo ai tanti che vivono con la spada di Damocle di un contratto a termine in scadenza, a chi non osa fare progetti a lungo termine per paura di perdere il lavoro. La qualità del lavoro non si misura solo con i numeri, ma con la dignità e la serenità delle persone.
Ci mettono in guardia sul rischio di ridurre le tutele, citando il confronto tra le indennità del Jobs Act e della Legge Fornero. Ma la vera tutela non è un assegno, per quanto consistente possa essere. La vera tutela è la stabilità del posto di lavoro, la possibilità di costruirsi una vita professionale senza la costante ansia del domani. Il referendum punta a questo, a dare più peso alla reintegra, a rendere più difficile licenziare ingiustamente.
Poi il capitolo sull’indennizzo nelle piccole imprese. Certo, eliminare il tetto massimo senza intervenire sulle soglie minime potrebbe essere una soluzione incompleta. Ma perché non vedere questo referendum come un primo passo, come un’opportunità per iniziare a correggere delle storture? Meglio un piccolo passo avanti che rimanere fermi.
Affermano che “la precarietà non si elimina con i referendum”. Nessuno ha mai sostenuto che un semplice sì possa cancellare magicamente anni di politiche sbagliate. Ma eliminare la possibilità di stipulare contratti a termine senza una vera ragione per un intero anno rappresenta un segnale chiaro, un freno all’abuso di una forma contrattuale che troppo spesso diventa la norma, negando ai giovani la possibilità di progettare il proprio futuro.
E infine la sicurezza sul lavoro negli appalti. Ci dicono che il referendum è un intervento sbagliato, che la normativa già esiste. Ma quanti incidenti continuiamo a vedere nei cantieri, quante vite spezzate? Evidentemente, quello che c’è non basta. Estendere la responsabilità anche al committente finale può essere un deterrente in più, un modo per dire basta al Far West degli appalti, dove spesso la sicurezza viene sacrificata in nome del profitto.
Aggiungiamo ora un punto che ci tocca da vicino e su cui non possiamo e non vogliamo tacere: il silenzio assordante che la CISL ha riservato a noi, precari di Poste Italiane. Abbiamo cercato il dialogo, il confronto, il sostegno di un sindacato che si proclama dalla parte dei lavoratori. Le nostre richieste sono rimaste inascoltate, ignorate. E oggi, leggiamo queste argomentazioni distanti, quasi fredde, che sembrano non tenere conto della nostra realtà, della nostra lotta quotidiana per un lavoro dignitoso.
Come possiamo fidarci di un’organizzazione che da un lato ignora le nostre grida d’aiuto e dall’altro ci spiega cosa è meglio per noi, liquidando con sufficienza uno strumento di democrazia quale il referendum?
Noi crediamo che sia ora di dare voce a chi non ne ha, di rimettere al centro i diritti e la dignità del lavoro. I referendum non sono la panacea di tutti i mali, certo, ma rappresentano un’opportunità per cambiare rotta, per dire basta a un sistema che ha generato troppa precarietà e troppa insicurezza.
Invitiamo la CISL a una seria riflessione. Invece di arroccarsi su posizioni che appaiono più difensive che propositive, ascolti la voce dei lavoratori, si confronti apertamente con le loro esigenze, anche con quelle di chi, come noi precari di Poste Italiane, si è sentito a lungo ignorato. Solo così potrà ricostruire quella fiducia che oggi appare pericolosamente incrinata.
La battaglia per un lavoro dignitoso e sicuro è una battaglia di tutti. Non lasciamoci scoraggiare da chi sembra aver dimenticato da che parte stare. Continuiamo a far sentire la nostra voce, con la forza delle nostre idee e la determinazione di chi non si arrende di fronte alle ingiustizie.