Senza stazione nel capoluogo ormai da tempo, con le grandi banche che sono scappate verso il Nord sostituite da iniziative locali che sfiorano tassi usurai, con molte aziende in sofferenza tra cassa integrazione e licenziamenti, con la città di Avellino commissariata e il deserto dovuto allo spopolamento, soprattutto giovanile dalle zone interne, con una sanità pubblica che vede professionisti medici e valenti infermieri abbandonare la barca; con tutto questo ed altro ancora, soprattutto senza una classe dirigente politica in grado di proporre soluzioni credibili per dare risposte ai bisogni delle comunità, molte delle quali sono costrette a bussare alle porte delle mense dei poveri, e mentre la legalità è insidiata da una camorra senza scrupoli portata in Irpinia da imprenditori sullo sfondo uniti in comitati di affari, con le istituzioni che tardano a dare un forte segnale; mentre tutto questo è innegabile, c’è chi, in modo irresponsabile declina l’invito di andare alle urne, affermando che questo, e solo questo è il modo per dare una lezione ad una politica individualista e con scarso rigore morale.
Così non va: si avverte invece un urgente bisogno di buona politica partecipando al turno elettorale, recandosi in cabina per consacrare una svolta, per cambiare tutto ciò. La parola d’ordine è dunque: partecipare. Solo assumendosi la responsabilità di dividere il grano dall’oglio, si diventa cittadini a tutto tondo e si costruisce un futuro soprattutto per chi verrà dopo di noi. Molti di noi più avanti con gli anni, hanno vissuto periodi di grandi emergenze, a partire dalla fame seguita al conflitto mondiale e tutto ciò che ne derivava, ma anche fasi di grandi trasformazioni come il miracolo economico, la lotta al terrorismo e altri importanti traguardi che fanno riferimento a valori come senso dell’educazione, il rispetto tra le persone, sentimenti che tracciano la strada per il bene comune. I volti, a volte emaciati carichi di sicumera, di mercanti del consenso che girano quartieri e paesi promettendo e balbettando soluzioni ai problemi scoperti all’improvviso, dovrebbero diventare il ricordo di un passato recente da cancellare.
Di contro è necessario il protagonismo di chi vive sulla propria pelle i disagi di una vita di stenti o la fortuna di essere dotati del valore della cultura e di quello dell’onestà: è questo, a mio modesto avviso, il solo modo per cambiare in meglio, per ricostruire una moralità pubblica in cui il merito e le competenze non siano, come oggi accade, preda di clientelismo becero e di quell’inamovibile potere che gioca le partite per proprio interesse, senza motivazioni ed entusiasmo, rendendo cupo il bel cielo della speranza. Chi, se non il cittadino arbitro delle vicende, può cambiare le sorti di una realtà amara che oggi denuncia compromessi a ribasso, abusi di potere, arricchimenti improvvisi e tante “isole” problematiche maleodoranti che hanno fatto la fortuna di pochi a danno di tanti? Mi fermo qui con un invito accorato: si deve andare al voto. Non per fare contento qualcuno, o per disobbligarsi di una grazia ricevuta, o ancora per soggezione al potere ma per esprimere un giudizio sulla classe dirigente, su coloro che nel mandato di rappresentanza che in queste ore si consuma non presentano nulla nel bilancio se non parole, parole, parole. E dunque per punire il tradimento contro questa terra ormai abbandonata e sempre più isolata tra il mutismo di chi potrebbe sapientemente agire e chi l’ha infangata.



