“Mio padre è stato ucciso perché è stato lasciato solo”: lo sottolinea Graziella Ammaturo, figlia di Antonio, poliziotto ucciso dalle mafie, nel corso del convegno promosso da Libera nella Giornata per la Giustizia e legalità al Polo Giovani. Un modo per celebrare coinvolgendo le scuole l’anniversario della strage di Capaci. “E’ stato ucciso per aver svolto il suo lavoro, per la sua integrità, perché non ha accettato nessun condizionamento. E’ stato ucciso perché faceva paura, facevano paura le indagini che stava portando avanti sulla criminalità. Mi chiedo che Italia sarebbe stata se quello a cui stava lavorando fosse venuto a galla”.
Ricorda come “oggi non è più così. Siamo in tanti a combattere mafie. Quando mio padre è morto avevo 17 anni ma mi sono sentita sola. Neppure i miei professori hanno avuto il coraggio di consegnarmi una parola di conforto. Della mafia non si poteva neppure parlare”. Sottolinea come “Spesso i ragazzi mi chiedono ‘Perché suo padre è stato ucciso? Non poteva fermarsi? Non poteva scegliere di tirarsi indietro?’. Ma non voleva essere un eroe. Non voleva morire per essere ricordato. Mio padre voleva vivere, svolgere il proprio dovere e tenere fede agli impegni presi. Gli impegni che aveva assunto con se stesso, al momento del giuramento: difendere tutti noi, difendere lo Stato. Perché questo era il suo compito. E non è giusto che, in un Paese civile, si venga presi di mira solo per questo”.
Non nasconde la sua indignazione per una morte su cui non è ancora stata fatta luce: “Mio padre faceva paura. Ma faceva paura perché era un uomo libero. Libero mentalmente. Non ha mai subito alcun tipo di condizionamento durante tutta la sua vita. Non era affascinato dal potere, non ne era soggiogato. Era coraggioso, sì, ma soprattutto libero da ogni compromesso. Non guardava in faccia nessuno: che fossero politici o criminali, lui andava dritto per la sua strada. E proprio questa sua integrità, questa sua libertà interiore, lo rendeva scomodo. Era considerato pericoloso proprio perché non era controllabile”.
Ricorda come “Mio padre riceveva minacce quotidiane. Ogni giorno. Perché stava lavorando a un’indagine molto delicata. Se fossero venuti alla luce i risultati di quell’indagine, avrebbe potuto cambiare il nostro Paese. Anche su questo dovremmo riflettere: sulla ferita che la sua morte ha inferto a tutti noi. Nel caso di Antonio Ammaturo, la domanda che dovremmo porci è: che Paese saremmo oggi se la verità fosse emersa? Cosa sarebbe cambiato? Quali altre verità ci sono state negate?”.
Spiega come “Mio padre faceva paura, e veniva minacciato continuamente. Eppure non si è mai fermato. Non voleva essere un eroe ma realizzare i suoi ideali. E’ stato ucciso perché è stato lasciato solo a combattere. Questo è il vero motivo. Ed è questo ciò che non deve accadere mai più. Dobbiamo essere in tanti. Oggi le cose sono cambiate, ma allora era diverso. Quando mio padre fu assassinato, io ero al liceo classico a Napoli. Non avevo ancora compiuto diciassette anni. Nessuno, né il preside né gli insegnanti, pensò di dirmi una sola parola. Nessuno. Avevano paura”.
E’ quindi il Provveditore Fiorella Pagliuca a lanciare un appello forte ai ragazzi a non voltarsi dall’altra parte, ad avere il coraggio di schierarsi, di indignarsi di fronte alle ingiustizie. “Legalità – ribadisce – significa credere nei valori per i quali si è disposti a sacrificare la propria vita. E’ importante che i ragazzi vivano queste giornate non come occasioni dedicate unicamente al ricordo di stragi e uccisioni, che pure hanno segnato profondamente la storia del nostro Paese, ma piuttosto come momenti per rinnovare in ciascuno di noi un impegno. Un impegno quotidiano a incarnare valori e ideali come la giustizia, la legalità, il rispetto per tutti, e la capacità di non restare ipocritamente indifferenti di fronte a ciò che accade in molti luoghi del mondo — come Gaza o l’Ucraina — dove il genocidio e la distruzione di massa appaiono come realtà drammatiche, troppo spesso considerate inevitabili e quindi non contrastate con la necessaria determinazione”.
Spiega come “Anche Avellino vive un’emergenza legata a una movida violenta e a un disagio giovanile che si manifesta spesso attraverso risse ed episodi di aggressività. I ragazzi stanno attraversando un momento complesso: l’adolescenza è la fase più delicata del percorso di crescita di ogni essere umano. È evidente come la società, talvolta, trasmetta messaggi contraddittori e disorientanti. Questo genera nei giovani una rabbia, un’ansia, un desiderio profondo di cambiamento che, in alcuni casi, si traduce in comportamenti distorti. Di qui la necessità di condividere con loro i valori della legalità e della cittadinanza attiva, aiutandoli a comprendere quanto sia importante scegliere, senza mai venir meno a quei valori che danno senso e dignità all’esistenza umana”.
Dalla referente regionale di Libera Anna Garofalo l’invito a non smettere di ricordare “per evitare che le vittime innocenti di mafie vengano uccise più volte”. Quindi l’appello alle scuole a portare avanti questo impegno perche’ la vita entri con forza nelle aule scolastiche “Trent’anni di Libera non sono trascorsi invano. Tanti i traguardi già raggiunti. Oggi siamo più pronti e possiamo sognare insieme“.
Sono, poi, la professoressa Manuela Muscetta, referente regionale docenti di Libera, Davide Perrotta, Stefano Pirone e Riccardo Magliacane di Libera, Stefano Iannillo di Arci, Rossella D’Argenio del progetto Policoro a soffermarsi sui laboratori portati avanti nelle scuole sui temi di corruzione, giustizia ed ecomafie nella convinzione che l’educazione alla legalità non può che partire dalle scuole e si costruisca a piccoli passi. Dalla professoressa Muscetta l’appello a costruire un presidio di studenti di Libera per rafforzare la rete sul territorio “La ricostituzione del presidio di Libera Avellino è stata importantissima, da qui è scaturita una rete che ha coinvolto docenti e cittadini comuni e non può fermarsi, dobbiamo continuare ad andare in direzione ostinata e contraria”. Mentre Stefano Iannillo ricorda come “la legalità si costruisca passo, dopo passo, a partire dai piccoli gesti quotidiani, come quello di tutelare il diritto all’assemblea delle scuole o di difendere un compagno.
A tracciare un bilancio positivo Davide Perrotta “Il nostro percorso di Giustizia e Legalità negli istituti per questo anno scolastico è stato il nostro modo per guardare al futuro, partendo dalle storture del passato e del presente. Dalle voci dei ragazzi e delle ragazze di Avellino è emersa forte la necessità di parteggiare, di schierarsi contro le mafie ma anche contro chi danneggia l’ambiente, contro i privilegi, contro corruzione e l’oppressione dei più deboli. Abbiamo cercato di portare questo messaggio ai ragazzi ogni giorno, anche attraverso le storie irpine delle vittime innocenti delle mafie, come quella di Pasquale Campanello. Queste storie ci ricordano ogni giorno quanto abbiamo bisogno di rimanere compatti e di fare muro contro questi fenomeni, anche sul nostro territorio. È stata la voce di chi sogna e immagina un cambiamento serio. Il messaggio che vogliamo lanciare all’esterno parte da un dato: al Polo Giovani nessuno era solo, eravamo 250, tra studenti, associazioni, docenti. La memoria è carne viva“. Di forte intensità anche il documentario dedicato ad Antonio Ammaturo di Antonio Emanuele Ricci “Magnitudo 6.9” che ha ricostruito gli intrecci tra politica, criminalità organizzata e Brigate Rosse che sarebbero alla base dell’uccisione di Ammaturo. Bellissime le testimonianze degli studenti che hanno partecipato all’incontro e protagonisti dei laboratori, il liceo Mancini, il liceo Colletta, il Convitto Colletta, il liceo Imbriani, il liceo Virgilio, la Perna Alighieri, l’Ic Aurigemma di Monteforte, l’Itt Dorso, l’Ic Da Vinci, il De Caprariis di Atripalda che hanno raccontato attraverso video la loro ansia di verità e giustizia. Di forte valore anche la presenza di un’associazione impegnata nell’accoglienza dei migranti che ha testimoniato l’importanza di coinvolgere anche gli stranieri in un percorso di educazione alla legalità.