Sarà presentato giovedì 3 aprile, alle 10, presso il Conservatorio Cimarosa di Avellino il volume di Giuseppe Ressa “La scumbaratora nuscana e i canti di questua del sabato santo”, edito da Mephite. A dialogare con l’autore Pietro Roffi e Luigi Sisto. Interviene Roberto Lucanero, dottorando in culture, pratiche e nuovi linguaggi della musica e delle arti performative presso il Conservatorio di musica Braga di Teramo. Pubblichiamo di seguito una nota sul volume di Gianni Marino.
di Gianni Marino
Alla metà del 1800 risale la «scumbaratora», una tradizione musicale nuscana originale. Fino ad oggi non esisteva a riguardo uno studio scritto. Finalmente, grazie al maestro Giuseppe Ressa per la prima volta abbiamo i risultati di una ricerca appassionata, mettendo a disposizione di noi tutti un ricco elaborato su questo nostro patrimonio musicale. “Il termine «scumbaratora», – scrive il maestro Ressa – esclusivo del dialetto nuscano, designa un’antica tradizione popolare agraria, prerogativa della sola popolazione contadina. La sera del Sabato santo, per la precisione dopo che le campane della chiesa avevano suonato a gloria, segno dell’avvenuta resurrezione del Cristo, gruppi di persone – solo uomini – si radunavano per recarsi nelle varie contrade di campagna, casolare per casolare, suonando con organetti, chitarre, tamburelli e castagnette, mentre i cantori, a turno, improvvisavano i versi più disparati, rivolti ora alla famiglia, che al momento li ospitava, ora alle feste pasquali, che “volgevano al termine, ora all’amore, all’ingiuria.
La maggior parte delle famiglie di contadini aspettava in casa, con le luci accese per tutta la notte, e quando i gruppi arrivavano, li accoglievano in casa dando in dono uova, salsicce, formaggio, vino, spesso chiedendo in cambio di suonare qualcosa per poter ballare.”
La propensione musicale in generale, come dato culturale locale, era molto radicata tanto che nacque la leggenda che Sant’Alfonso Maria de’ Liguori per scrivere “Tu scendi dalle stelle” si fosse ispirato ad una nenia popolare. Si raccontava che Sant’Alfonso, in visita dal suo amico Vescovo Bonaventura, era andato a fare una visita alla locanda di una famiglia nuscana: Pierno. Mentre era in quella casa, ascoltò una nenia che proveniva da fuori eseguita da alcuni poveri suonatori. Ne rimase molto colpito e suggestionato. Chiese di far entrare in casa i musicisti: pose loro domande su quella musica e volle riascoltarli anche una volta. Dopo averli salutati e benedetti, si preoccupò di annotare quanto aveva visto sentito e ascoltato.
La nomea di Nusco Città musicale fece storcere il naso al buon canonico Pier Paolo Parzanese che – in “Viaggio verso Bagnuolo”nel 1835 – dopo una visita in paese, rimase molto deluso per le “tanto declamate virtù artistiche nel canto e nella musica.”
Accanto a questa tradizione popolare, verso la fine del 1800, il nostro paese ebbe il suo “momento magico” anche per quanto riguarda la musica colta, probabilmente su ispirazione del musicista Francesco Della Vecchia (don Cicciotto) diplomato a Napoli al Conservatorio San Pietro a Majella. Questi divenne amico di un musicista solo recentemente riscoperto: Niccolò Westerhout che fece diventare la sua casa a Napoli uno dei salotti letterari e musicali più importanti della città ( frequentato dallo stesso Gabriele D’Annunzio). Niccolò era di casa a Nusco per l’amicizia che lo legava a Francesco, conosciuto in conservatorio. E nel nostro paese ritornò più volte, tanto da comporre una serenata (inedita) per archi da eseguire in Villa Vecchia, diventata in quegli anni un vero e proprio teatro/sala da concerto all’aperto per la Filarmonica locale. Chi raggiunse, però, fama e successo fu Nicola Laucella che nato nel 1882 emigrò a tredici anni in America portando con sé la passione per il flauto, imparato a suonare prima da pastore e poi nella Filarmonica di Nusco. Già nel 1904 divenne “flauto solista” nell’orchestra di Pittsburg, poi “flauto principale” nella Filarmonica di New York, infine divenne “primo flauto” nell’orchestra Metropolitan Opera di New York dove vi rimase per fino al 1937. Come Nicola Laucella, anche un altro nuscano, Arcangelo D’Urso, dopo aver studiato nel Conservatorio di Napoli, dove si era diplomato con il massimo dei voti, era emigrato per l’America, diventando «primo violinista» in una grande orchestra. Nel 1908, in viaggio di nozze, ritornò a Nusco. Lui, Nicola Laucella e Francesco Della Vecchia incantarono con un concerto a tre l’intero paese. Con l’avvento del fascismo, in ogni paese prese il sopravvento la banda musicale dopolavoristica. Pure a Nusco se ne formò una di tutto rispetto anche se di breve durata. Come è noto, in quegli anni l’associazionismo musicale era una forma sociale ed economica per conservare il consenso al regime.
Dopo di allora, altri nostri concittadini si sono distinti nel campo musicale, raggiungendo significativi risultati. Dobbiamo al maestro Ressa – docente stimato e brillante musicista – questo magnifico libro. Speriamo possa essere utile a riaprire una proficua discussione utile al presente.