La sanità e le sue criticità. Che fare? A “Meglio Sapere X…” Michelangelo Varrecchia intervista Aldo D’Andrea.
Pubblichiamo di seguito il documento redatto nel 2014 da Aldo D’Andrea, allora presidente della commissione regionale sanità del Partito Democratico.
D’Andrea è specialista in Cardiochirurgia e Chirurgia Toracica, già docente presso la Cattedra di Chirurgia Toracica della Università Federico II.
L’erogazione del servizi sanitari non può essere calibrata unicamente sul versante della spesa, perché lo sguardo monoculare ignora fattori di civiltà e, come paradosso, determina nel contempo cattivi risultati, opposti a quelli attesi.
Fenomeni come quello della emigrazione dei pazienti in altre regioni d’Italia, legato alla ridotta tempestività della erogazione delle cure, per la riduzione di strutture e di personale, se all’apparenza paiono sgravare i conti regionali, al contrario invece, appesantiscono fattualmente il sistema produttivo e previdenziale generale e locale, perché stornano risorse del SSN della Campania verso altre Regioni, rendendo inefficace ogni criterio di risparmio, paradossalmente, si genera una sorta di eterogenesi dei fini, procurando aggravio sostanziale del costi a carico della nostra Regione.
Nelle spirito del costi standard e nella introduzione del LEA, il legislatore intese, invero, che dovesse farsi ricorso ad un maggior controllo e all’utilizzo ottimale delle risorse, pur sempre, però, nell’interesse del cittadino, che, nella sua essenza ontologica di persona, doveva restare comunque cardine del sistema sanitario. I costi “pro-capite” che attualmente la Campania riceve dalla ripartizione dei fondi del SSN, non tengono conto delle condizioni socio-economiche dei cittadini, certamente più modeste, se comparate a quelle di altre Regioni d’Italia; il budget ripartito, infatti, è stato calcolato come il mero derivato risultante dalla densità abitativa e dalla età più bassa dei suoi abitanti, mentre ne ha ignorato del tutto altre, ben plü incidenti sul benessere fisico, che sono indubbiamente quelle legata al vissuto disagio sociale. Inoltre, è opportuno precisare che, per fatto storicamente rapportabile ad una sorta di “contenimento degli abusi”, l’Irpinia riceva dalla Regione le rimesse più scarne, non assolutamente in linea con quelle che sono esigenze Imprescindibili, sia in termini di adeguata assistenza che in termini di risposta alla domanda sanitaria attuale
La giunta Caldoro, se è vero che mena a suo vanto l’aver sanato il grave debito della Sanità regionale, addirittura dichiarando di aver ottenuto il pareggio di bilancio, deve dirsi pure che ha scelto di agire solo ricorrendo a provvedimenti difettivi, quali riduzione del personale, soppressione di strutture e aumento smodato dei tickets, sono state scelte, queste, che hanno appesantito i già onerosi fardelli sociali ed economici che attualmente gravano sulla popolazione campana. Altra strategia, altra linea, invece, sarebbero state gli sforzi di ottimizzare le Risorse, riorganizzare le reti interconnettive tra pubblico e privato, la cancellazione degli sprechi, il virtuoso controllo delle convenzioni e degli accreditamenti, che avrebbero parimenti alleviato le casse regionali, rinunciando dal semplicismo della abusata pratica dell’aggravio di tassazione e dalla riduzione dell’assistenza, cui questa Giunta ha ritenuto di ricorrere. Perciò, le incongruenze delle scelte di Caldoro sono grandi, fanno da sfondo evidente alla sua gestione inefficace, vale la pena, al proposito, dire che solo attraverso le chiusura di ospedali e il taglio di 10000 unità di personale, vengono risparmiati oltre 450 milioni di euro all’anno. Da questi tagli indiscriminati, l’Irpinia è stata ampiamente interessata, la soppressione dell’assistenza e il mancato potenziamento dei poli di eccellenza, come quelli dell’Ospedale di Avellino e di Ariano Irpino, danno l’immagine plastica della caduta dei LEA nella provincia. Di più, insindacabilmente, questa Giunta ha ritenuto di dover accreditare circa 920 strutture private, in Regione, senza aver prima verificato quali fossero le carenze del pubblico servizio, o dall’aver discusso delle reali necessità per il soddisfacimento dei LEA. In altri semplici termini, si è inteso concedere convenzioni a strutture private in modo del tutto slegato dalle vaste carenze rilevabili dell’offerta sanitaria presenti, tanto da poter indiziare questo provvedimento di arbitrarietà, sia perché non fondato su criteri di raziocinio, sia perché comporta la duplicazione di offerte di alcuni servizi sul territori, a scapito di altri, che, carenti sono e carenti restano. Al proposito, valga l’esempio dei centri di dialisi, o di strutture pediatriche e psichiatriche, ci si chieda, in sostanza, se, in forza delle convenzioni concesse alle 920 strutture private, ne deriverà, in Regione, l’abbattimento delle liste di attesa per esami diagnostici. Molto improbabile che questo accadrà.
L’aumento dei tikets, poi, ha prodotto il fine opposto a quello che ci si è proposto, se è vero che l’introito derivante da questi è decresciuto, piuttosto che aumentare, come nelle attese del legislatore. Infatti, dal precedenti 65 milioni di euro che la Regione introitava, dopo l’aumento dei tickets, se ne incassano ora…45, cioè circa 20 in meno. Inoltre, la sottrazione di strutture secondarie in zone impervie e di difficile collegamento, la mancata riqualificazione e riconversione delle stesse strutture, la non uniformità dei costi per singolo cittadino in relazione alla sua residenza intraregionale, sono, nello specifico, scelte francamente ingiuste e sbagliate.
Occorre riflettere seriamente su questo, affinché possano poi esservi le migliori condizioni per rilanciare nel termini migliori la erogazione dei servizi sanitari, partendo dalla verifica degli indici di affidabilità per singole strutture sanitarie, dalla rete dell’emergenza da organizzare, dalla integrazione tra l’assistenza primaria sul territori e quelle secondarie e terziarie, dalla stesura del piano di prevenzione per le misure di profilassi, assolutamente indispensabile, anche alla luce dell’inquinamento di vaste zone della nostra Provincia, come il quartiere della ferrovia di Avellino e quello della Valle del Sabato. Ma non ne mancano altri.
Va sempre ricordato che la conformazione fisica della nostra Irpinia offre di sé un pluriversum geografico, accanto a zone fortemente urbanizzate, con alto indice di insediamento abitativo, ve ne sono altre in condizioni del tutto opposte, collinari o montuose, interne, con bassa densitä abitativa, distanti dai centri più urbanizzati e dotati dei servizi di assistenza. Parliamo di un’area vasta e di una popolazione di diverse decine di migliaia di unità, e perciò qui si pongono questioni specifiche di grande e seria rilevanza. Conosciamo i luoghi, sono nuclei abitativi costituiti da piccoli paesi, in maggioranza al di sotto dei 5000 abitanti, molti di essi al di sotto del 3000, posti per lo più in zone impervie, sulla dorsale appenninica, frequentemente innevate d’inverno.
Riferiamo all’Alta Irpinia naturalmente, ad una zona, cioè, del tutto dimenticata o ignorata, se si considerano le strategie che hanno guidato ultimamente l’ASL Av, il cui direttore Florio fu “misso dominici” della Regione con funzioni di prefetto liquidatore delle speranze delle genti d’Irpinia. Si stigmatizzi, qui, tra le altre “perle”, la soppressione dell’ADI (assistenza domiciliare integrata), che è stato vanto irpino, unico esempio, in Regione, di assistenza ed efficienza, punto di emulazione, alla fine pur esso soppresso da un ineffabile direttore dell’ASL Av, incurante del disagio degli inabili, indifferente alle attese dei deboli ed esposti, in preda ad un cupio dissolvi frutto di un disegno di sottrazione e di risparmio, purchessia.
Stancamente si assiste a espressioni ripetitive, ritornelli noiosamente declamati per coprire volontà regressive tese unicamente al contenimento dei costi e non all’efficacia del sistema. Elencazioni riguardante questioni come riduzione dei tempi delle liste di attesa per vari esami diagnostici,
la spesa sanitaria che non può crescere all’infinito,
discussioni su come dare centralità al paziente all’interno del sistema,
sperperi e abusi diffusi, in special modo al Sud-Italia,
eccesso di richieste di esami strumentali,
integrazione ospedale-territorio,
ottimizzazione della spesa, hanno per davvero stancato.
Sono luoghi comuni triti cui si ricorre abusando oltremodo e sono giustificativi di chi si scopre semplicemente incapace nell’azione e parolaio negli intenti.
Bisognerebbe fare un excursus storico breve, dal 1978 ai giorni nostri, per capire come ormai quell’ottimo progetto di assistenza sanitaria si è affievolito sempre più nella sua efficacia. Innanzitutto, la regionalizzazione dell’assistenza e la gestione del Sistema nelle mani di politici incapaci, o ancor peggio tangentari, ha appesantito costi senza incidere sulla qualità del servizio, anzi determinando una involuzione dello stesso, pur di mantenere il costo complessivo della spesa, della quale una parte correva per strade inutili o pudicamente definibili colpevoli
Poi, pretese lobbistiche hanno ancor più allontanato quello che doveva essere lo scopo essenziale della riforma operata nel 1978: diritto alla salute per tutti i cittadini, ricchi e poveri allo stesso modo.
Il sistema sanitario va…curato.
In primis, bisogna partire dagli operatori sanitari, medici e infermieri, che prestano la loro opera in presidi assistenziali o al di fuori di essi. Tutti insieme devono assicurare attività di assistenza e cura al cittadino e la distanza che oggi esiste tra medico generalista e ospedaliero va del tutto annullata, perché tutti sono parte del sistema, pur nelle diversità dei ruoli.
La domanda di assistenza va differenziata, a seconda delle esigenze e delle patologie. Le esigenze sono di ordine economico generali, gravanti sulla spesa statale, e di garanzia dei diritti del cittadino, mentre delle patologie deve essere chiaro che solo alcune di esse richiedono assistenza ospedaliera, potendosi molte di esse trattare a domicilio o in ambienti predisposti, comunitari, di osservazione sul territorio, gestiti dagli stessi medici generalisti.
Così, fatte le debite premesse, alla Regione Campania tocca doverosamente l’onere di programmare sul suo territorio un sistema sanitario che tenga conto delle diversità, siano esse di territori che di disponibilità economica dei suoi cittadini.