di Arturo Aiello*
Carissimo Gianni, scrivo a te, decano dei Giornalisti Irpini in un momento di grande incertezza politica. Nutro molta preoccupazione per quanto, da fin da dopo le elezioni, accade in Consiglio Comunale con diatribe e serio pericolo di sciogliere il Consiglio con gravi danni per la città. Sai bene che da sempre sono stato propugnatore della “separazione dei ruoli” e rispettoso delle diverse competenze, ma si raggiungono, da tempo, eccessi che interrogano sul senso civico dei nostri Amministratori. Sono lontani i tempi della “Danza” della grande politica che rendeva l’Irpinia maestra per l’intera Nazione (Paolo VI diceva “si tratta della più grande forma di carità”), a noi è dato di assistere solo a… “balletti” dove il confronto diventa scontro fino a mettere in forse la governabilità: dove è finito il primato del “Bene Comune”? Ci sono problemi gravi in città, interi quartieri che ancora vivono nel degrado, la fuga dei giovani, l’assenza del mercato del lavoro, una vivibilità incerta, e i nostri politici stanno a bisticciare per poltrone e diritti di primogenitura. Non accuso né difendo nessuno, ma credo che chiunque indossi legittimamente la fascia tricolore, fosse anche il diavolo, in questo momento deve essere incoraggiato e supportato mettendo da parte altre questioni secondarie che non aiutano la governabilità. Non è il pensiero del Vescovo, ma dell’uomo della strada che non è edificato da quanto sta accadendo da tempo nella nostra città. “Mentre Roma discute -scriveva Tito Livio- Sagunto è espugnata” descrivendo già nella Storia dell’Impero Romano (“Ab Urbe condita”) una spaccatura tra il Senato e la realtà, tra le interpellanze e i problemi che bruciano, tra il paese legale e quello reale. Puoi farti tu, dall’alto della tua sapienza ed esperienza, sostenitore di un patto di stabilità che renda meno insidioso e tortuoso il cammino della Amministrazione della nostra città?
*Vescovo di Avellino
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L’ORA DELLE RESPONSABIlITÀ
di Gianni Festa
Nel silenzio tombale e nel chiacchiericcio pettegolo che connota la crisi al Comune capoluogo, si leva forte e accorata la voce di don Arturo vescovo, la cui indignazione non può non trovare d’accordo quanti sono preoccupati per il futuro della città.
Stabiliti i confini dell’agire, il pastore delle anime si fa interprete del disagio sociale che la città attraversa con i tanti problemi che la crisi ha emarginato ad un ruolo più che secondario. Non solo. L’analisi entra nel vivo di una riflessione sulla classe dirigente che, in tempi relativamente recenti, ha scritto pagine nobili sul ruolo svolto in provincia, come, e più ancora, nel resto del Paese. Non è un richiamo nostalgico è, invece, io penso, un appello a ritrovare un metodo di condivisione per tentare di fare uscire la realtà dai gravi problemi, tra cui quello della povertà che avanza, o come lo spopolamento il cui ritmo impressionante priva la comunità soprattutto dell’apporto delle masse giovanili.
Il richiamo a “Sagunto espugnata” appare più che urgente ed opportuno. Ricordo che anche il cardinale di Palermo, Pappalardo, fece memoria di fronte agli omicidi di mafia che insanguinarono la Sicilia. Si tratta di un richiamo alla responsabilità, assolutamente da non equivocare. La parte che don Arturo sceglie è quella del bene comune, la sola che può fermare le lancette dell’orologio, oggi impazzito, sulla stabilità di governo. Cosa buona e giusta. Ringrazio il vescovo per le significative espressioni nei miei confronti, e facendo mio il suo appello, con molta umiltà e per il bene della città e della sua comunità, mi sento di immaginare una uscita dalla crisi con senso di responsabilità: si chiudano la “danza e i balletti” si scelga la strada della competenza e del merito, solo con personaggi di altissimo profilo e si eviti lo scioglimento del Consiglio. Al di là delle polemiche di parte e degli inciuci che promettono solo veleni.