“Il dato con cui dobbiamo fare i conti è che a fare politica sono oggi uomini e donne senza esperienza lavorativa o preparazione. In molti casi ci troviamo di fronte ad assessori comunali o regionali che non hanno un posto di lavoro e cercano di ottenerlo attraverso la politica. Mi chiedo se non sarebbe il caso di aprire un rinnovato Ente Comunale di Assistenza, quella che era l’Eca, per gli amministratori, così smetterebbero di chiedere posti di lavoro e ci sarebbero meno dilettanti nel governo della cosa pubblica”. Lo sottolinea con un misto di sarcasmo e amarezza il professore Toni Iermano nel corso del confronto sui Dialoghi interrotti tra capoluogo e provincia alla Biblioteca Provinciale, nell’ambito del ciclo di incontri “Educare alla politica nella società di oggi” promossi dalla rivista Studi desanctisiani e da Sistema Irpinia. A dialogare con lui, moderati da Pierluigi Melillo, i professori Franco Festa e Antonella Prudente e l’artista Gennaro Vallifuoco.
Iermano pone l’accento sul forte legame che esisteva tra Avellino città e provincia, un legame che si è dissolto negli ultimi quarant’anni s”ia perchè le aree interne si sono urbanizzate, sia perchè pagano il prezzo della desertificazione. Fino al secondo dopoguerra dalla provincia – prosegue Iermano – si veniva sempre ad Avellino per andare allo stadio, a cinema, a scuola. Fin dal 1806, quando Avellino è diventata capoluogo, il rapporto tra provincia e città è stato sempre più intenso, per poi interrompersi. La città è rimasta fuori dai processi di trasformazione, mentre alcuni centri della provincia conoscevano uno sviluppo diverso Oggi molti traffici si stanno spostando verso l’arianese. Avellino appare sempre meno attrattiva per la provincia. Lo testimonia il calo demografico, nel 2007 la popolazione era di 57-000 abitanti, nel marzo 2025 è di 51.000 abitanti, un numero esiguo per un capoluogo che è anche centro amministrativo”. Iermano ricorda che “perchè Avellino torni a dialogare con la provincia è necessario che ritorni ad essere modello. Mentre, oggi, offre lo spettacolo di beghe amministrative. Persino il vescovo si è dovuto scomodare. rompendo il patto tra Stato e Chiesa che risale ai tempi di Cavour, probabilmente spinto dalla sua generosità di fronte a uno spettacolo indegno”.
Non ha dubbi lo studioso desanctisiano “Sulla crisi al Comune ci auguriamo che il Partito democratico non compia un suicidio assistito, ha l’opportunità di mostrarsi coerente rispetto al voto del giugno 2024, mettere insieme tutte le risorse possibili e auspicare una battaglia elettorale. I commissari non fanno paura, rappresentano lo Stato e la vera democrazia” Ribadisce il ruolo che può svolgere la cultura “Ci sono tante attività e iniziative sul territorio ma c’è poco dialogo, non c’è progettualità, ci troviamo di fronte a un attivismo individualistico che porta pochi frutti. Mentre è importante riprendere questo dialogo”. E ribadisce come la politica “debba essere sempre organizzazione nel presente capace di guardare al futuro, di qui la necessità di persone che abbiano saputo costruire il loro futuro”
E’ Gennaro Vallifuoco a sottolineare come “la sfida sia innanzitutto quella di comprendere cosa si intende per cultura e chi sono gli interlocutori con i quali è possibile confrontarsi”. Spiega come “Il dato più preoccupante è che all’attuale classe dirigente manca onestà intellettuale. Si investono risorse del Comune per riqualificare quartieri, coinvolgendo il nome di turno ma senza che questi progetti abbiano poi ricadute sul tessuto sociale, senza offrire opportunità alle nuove generazioni. Mentre la cultura come la intendo io continua ad essere servizio, ricostruzione di reti e connessioni dal basso”. A offrire un quadro della realtà delle aree interne la professoressa Antonella Prudente “Abbiamo insegnato ai nostri studenti, in qualsiasi paese dell’Irpinia fossero nati, a sentirsi parte dell’Europa e oggi chiediamo loro di andare a combattere in una nuova guerra, li costringiamo a partire, chiudiamo le scuole in Alta Irpinia e facciamo fatica a valorizzare le risorse legate al turismo”. Non ha dubbi Prudente “non c’è altra strada che ripartire dai valori della filosofia cristiana. Di fronte alla crisi che vive il Comune i cittadini dovrebbero avere il coraggio di scendere in piazza per chiedere il rispetto della res publica”. E pone l’accento sul ruolo importante che l’intellettuale può esercitare sui territori “Deve tornare a far sentire la sua voce” ricordando le bellissime progettualità realizzate da alcuni borghi della provincia.
Franco Festa sottolinea come “nel capoluogo si è perduta la dimensione della socialità, del vivere insieme. Gli unici appelli sono arrivati da chi ha sgovernato la città, drogandola per sette anni”. Ammette con amarezza come “l’agire collettivo abbia lasciato il posto all’agire individuale. La nostra è una città che ha cancellato la parola cultura, che si fa beffa di chi tenta di operare sul piano culturale, ha cancellato l’assessorato alla cultura per sostituirlo con quello agli eventi e al turismo e chi ragiona in termini di bene comune è etichettato come nemico. E’ una città amorfa e individualista in cui pure l’opposizione sembrava quasi non vedere l’ora della crisi per partecipare al banchetto”. Ribadisce come sempre di meno la provincia guarda alla città, anche perchè nei comuni dell’Alta Irpinia, dell’arianese abbiamo esempi di centri che sono diventati essi stesso un modello, penso ad un borgo come Monteverde con percorsi digitali per facilitare gli spostamenti anche a chi deve fare i conti con la disabilità”. E punta l’indice contro” l’infima classe dirigente meridionale e locale che si preoccupa solo dei fondi del Pnrr, gestiti da gruppi di potere”. Eppure Festa esorta a non arrendersi “E’ possibile ripartire dalle tante belle energie che esistono sui territori, ci sono, le abbiamo visto nel corso delle manifestazioni dedicate alla pace e in numerosi incontri, dalla necessità di un ragionamento differente, di nuovi punti di riferimento che consentano di fare distinzioni all’interno della fine e immaginare un nuovo inizio”