Rosa Bianco
Ieri pomeriggio Villa Amendola ha accolto un evento di rara eleganza intellettuale, dedicato alla presentazione del libro Le tre vite di Maria D’Avalos di Rosetta Maglione (Osanna editori), con la presentazione del celebre scrittore Andrea Tarabbia, vincitore del Premio Campiello 2019 con il romanzo storico Madrigale senza suono, sulla figura del principe madrigalista Carlo Gesualdo. Nell’ambito della rassegna “Avellino Letteraria”, è stato offerto al pubblico un incontro che ha saputo intrecciare letteratura, storia e musica in una cornice di raffinata evocazione. Questo volume si distingue come un’opera che non solo narra le vicende della controversa e tragica Maria D’Avalos, ma che riesce a restituire, con precisione storica e forza narrativa, il ritratto di un’epoca segnata da passioni sfrenate, omicidi e intrighi nobiliari.
Maria D’Avalos emerge dalla penna dell’autrice come un personaggio complesso, affascinante e inquieto. La sua relazione con Fabrizio Carafa, duca d’Andria, ha una vibrazione epica, una forza che richiama le grandi storie d’amore condannate, quelle in cui l’eros si fonde fatalmente con il thanatos. L’autrice descrive questo legame non solo come un peccato che porta alla rovina, ma anche come un tentativo disperato di vivere intensamente, come le figure tragiche di grandi eroine letterarie. Secondo Benedetto Croce, “La storia di Gesualdo e Maria D’Avalos è il simbolo tragico dell’amore contrastato e della vendetta che scaturisce dall’onore ferito” (Croce, Vite di uomini illustri del Regno di Napoli, 1927). Viene naturale accostare Maria a personaggi shakespeariani, come Lady Macbeth o Desdemona, donne che hanno osato sfidare l’ordine stabilito, incontrando un destino inesorabile.
Come scriveva Lev Tolstoj, “tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è infelice a modo suo” (Anna Karenina, 1877). E la famiglia di Maria D’Avalos, con il marito Carlo Gesualdo, incarna questa infelicità in tutta la sua tragica unicità. Non solo la relazione con Fabrizio Carafa portò alla morte della protagonista, ma la vendetta di Gesualdo è una delle storie più macabre della cronaca italiana del Cinquecento. Come afferma il critico musicale Glenn Watkins, “Il massacro di Maria D’Avalos e Fabrizio Carafa a Napoli resta una delle pagine più oscure e tormentate della storia rinascimentale, trasformata in leggenda da secoli di racconti popolari e ricostruzioni letterarie” (Watkins, Gesualdo: The Man and His Music, 1973). Rosetta Maglione fa luce su questo evento brutale, ma lo fa con equilibrio: il testo alterna fedelmente dati storici e atti processuali con le ricostruzioni immaginarie di figure come i fratelli Corona, Anatole France e Angelo Borzelli, mescolando sapientemente verità e apocrifi, storia e leggenda.
La serata, introdotta da Annamaria Picillo, direttrice artistica della rassegna, è proseguita con un dialogo denso e ricco di spunti. A conversare con l’autrice è stata Giovanna Nicodemi, scrittrice dalla profonda sensibilità letteraria, che ha saputo mettere in luce gli aspetti più intimi e universali della narrazione. La lettura di brani scelti, eseguita da Mena Matarazzo, ha amplificato il pathos del testo, facendo risuonare le parole della Maglione come un’eco delle tragedie antiche.
Un elemento di straordinaria originalità è stato offerto dalla performance musicale di Angelo Emanuele Pagano e Domenico Sodano, che hanno saputo mescolare musica antica e intelligenza artificiale, creando un ponte sonoro tra il passato e il presente, tra il mondo di Maria D’Avalos e la modernità. Tale scelta sottolinea la capacità dell’evento di mettere in dialogo diverse forme d’arte, rendendo l’esperienza per il pubblico multisensoriale e profondamente coinvolgente. Come sostiene lo studioso di media digitali Lev Manovich, “L’integrazione della tecnologia moderna con la creatività del passato apre nuovi spazi di espressione artistica, trasformando l’esperienza estetica in qualcosa di inedito” (Manovich, The Language of New Media, 2001).
Non meno interessante è stata la presenza dell’artista Adele Lo Feudo, le cui miniature gioiello hanno impreziosito l’incontro, stabilendo un ulteriore legame tra la bellezza estetica e la profondità delle vite raccontate nel libro. Le opere di Lo Feudo, tra cui una dedicata proprio a Maria D’Avalos, riflettono l’eleganza tormentata di una donna destinata a essere ricordata nei secoli, non solo per il suo tragico epilogo, ma per ciò che ha rappresentato: il simbolo della lotta tra desiderio e destino.
L’incontro non è stato solo una celebrazione del libro di Rosetta Maglione, ma un omaggio alla potenza della letteratura come strumento per reinterpretare il passato e comprenderlo alla luce del presente. Le tre vite di Maria D’Avalos si configura come un’opera che, in una struttura letteraria densa e stratificata, invita a riflettere su temi universali come la passione, la vendetta e la fragilità della vita umana. Come osservava Anatole France, uno dei protagonisti evocati nel testo, “la storia è la menzogna universale sulla quale tutti siamo d’accordo” (L’île des Pingouins, 1908); ed è proprio nel confine tra realtà e finzione che il libro di Rosetta Maglione trova la sua verità più profonda.
Rosa Bianco