E’ dedicato a “Lioni e Oppida nei feudi di Giffoni” il nuovo volume di Arturo Bascetta, Abe edizioni. L’autore analizza meticolosamente le condizioni della vita feudale, quando padrone del feudo era un solo signore. Con “Lioni” Arturo Bascetta consente di accedere a importanti documenti del nostro passato, ricostruendo una pagina preziosa della vicenda umana e politica della verde Irpinia. L’autore ricostruisce le manovre escogitate da Baroni, Conti, Marchesi, Vescovi e Arcivescovi, per pagare meno tasse o, per usare il linguaggio moderno, per frodare il fisco. La frode fiscale veniva perpetrata a danno del Re a cui il feudatario doveva versare le tasse in proporzione ai suoi averi. Eppure le condizioni del feudatario erano floride in quanto riceveva cospicue entrate, non solo dagli enfiteutici, ma anche dai cittadini della sua Università, i quali pagavano tasse come maestri artigiani, per capre, pecore, bovini ed equini. L’Università poi acquistava derrate dal feudatario che rivendeva ai cittadini.
Nella categoria dei professionisti ed esercenti laureati rientrano Epifanio Ronca e Giuseppe Angelone quali agrimensori, Giovanni Moscariello, Giovanni Umberto Perna e Nunzio Palmieri, quali avvocati. Nella stessa categoria rientrano i farmacisti Pietro Santoro, Pasqualino Perna e Salvatore D’Andrea, e i medici-chirurghi Giuseppe Palmieri e Filippo Santoro. Fuori dai professionisti vi era poi un rappresentante di Assicurazioni, Giuseppe Ricca.
Siamo in pieno fascismo quando, nel 1931, risulta produttore ed esportatore dal paese verso l’estero, o comunque verso altri fruitori di una certa importanza, ancora Salvatore D’Amelio. Al quale però si aggiunge Filomena Passaro Forgione, entrambi noti per i loro formaggi e latticini. Ma anche la produzione di vino cominciò ad essere discreta grazie a Gennaro Imbriano di Raffaele, che lo commercializzava oltre frontiera.
Dobbiamo però attendere il 1956 per sentire parlare di Lioni in certi termini di commercio, soprattutto locale, quando il paese era passato a ben 6.802 abitanti. Eppure restava alta la distanza dal capoluogo di provincia, 55 chilometri, ma raggiungibile anche per mezzo della linea ferroviaria Avellino-Rocchetta Sant’Antonio. Lioni era infatti divenuto un piccolo centro attrezzato di tutta la zona.
Siamo in pieno fascismo quando, nel 1931, risulta produttore ed esportatore dal paese verso l’estero, o comunque verso altri fruitori di una certa importanza, ancora Salvatore D’Amelio. Al quale però si aggiunge Filomena Passaro Forgione, entrambi noti per i loro formaggi e latticini. Ma anche la produzione di vino cominciò ad essere discreta grazie a Gennaro Imbriano di Raffaele, che lo commercializzava oltre frontiera.
Dobbiamo però attendere il 1956 per sentire parlare di Lioni in certi termini di commercio, soprattutto locale, quando il paese era passato a ben 6.802 abitanti. Eppure restava alta la distanza dal capoluogo di provincia, 55 chilometri, ma raggiungibile anche per mezzo della linea ferroviaria Avellino-Rocchetta Sant’Antonio. Lioni era infatti divenuto un piccolo centro attrezzato di tutta la zona.
Il mercato restava una prerogativa di tutte le domeniche, quando facevano i massimi affari anche le locande e alberghi di Cosentino, Angelone, Noè e Saggese.
Le fiere restavano quelle dell’Annunziata del 25 marzo, del 20 maggio per San Bernardino, del 16 luglio, del 15-16 agosto di San Rocco. La II domenica di novembre e la II domenica di dicembre erano poi ancora dedicate a San Rocco. Fino a qualche anno fa prodotti tipici locali si trovavano direttamente dai contadini. Formaggi ed insaccati da Silvis in piazza Vittoria, da Pizza in via Battisti, da Aromatico in Via San Rocco, da Lettieri in Via Sant’Antonio, da Ruggiero in Via Ricca. Carni di manzo, maiale e agnello erano vendute al dettaglio da Di Conza in Via Ricca. Il pane cafone da Salzarulo in Via Indipendenza. Torroni e biscotti dai fratelli Oliviero di Via Ronca. Formaggi freschi, stagionati, mozzarelle e ricotte da Perna e da Cordasco in Via Marconi.
Le fiere restavano quelle dell’Annunziata del 25 marzo, del 20 maggio per San Bernardino, del 16 luglio, del 15-16 agosto di San Rocco. La II domenica di novembre e la II domenica di dicembre erano poi ancora dedicate a San Rocco. Fino a qualche anno fa prodotti tipici locali si trovavano direttamente dai contadini. Formaggi ed insaccati da Silvis in piazza Vittoria, da Pizza in via Battisti, da Aromatico in Via San Rocco, da Lettieri in Via Sant’Antonio, da Ruggiero in Via Ricca. Carni di manzo, maiale e agnello erano vendute al dettaglio da Di Conza in Via Ricca. Il pane cafone da Salzarulo in Via Indipendenza. Torroni e biscotti dai fratelli Oliviero di Via Ronca. Formaggi freschi, stagionati, mozzarelle e ricotte da Perna e da Cordasco in Via Marconi.
All’epoca risultano esercenti arti e commercio svariati cittadini. Tenevano per esempio il loro alberghetto Nicola Ilaria, Gaetano Soriano e Luigi Quagliariello. Chi voleva solo mangiare poteva sostare nelle trattorie di Fortunata Nolfi e Giuseppe Rullo. Per un buon bicchiere poteva bastare una bettola, quella di Vincenzo Soriano e Alfonso Ruggiero.
Si tratta di piccoli punti di svago, lungo le vie principali, gli unici, oltre le caffetterie, se si pensa che di pubblico non v’è altro, se non i locali dei tabaccai Domenico Corso e Giuseppe Ricca. Ma per il caffè non c’era problema. Lo si poteva gustare da Angelo D’Andrea o da Giacomino e Salvatore Milano. Per il resto si tratta di negozietti, piccoli, ma ricchi di cianfrusaglie, come quello dei venditori di cuoiami Angelo, Giuseppe e Antonio Palmieri. Se la vivacchiavano meglio sicuramente gli speziali manuali Salvatore Milano e Alfonso Sibilia. Un po’ meno i sarti Giovanni Ronca e Carlo Ricca.
Era di mestiere pittore di stanze Carmine Antonio D’Urso, mentre venditori di vino ufficiali risultano Amatonicola Angelone e Benedetto D’Andrea e negoziante di legnami Giuseppe Verderosa e negoziante di tessuti, Alfonso Formato e lo stesso Amatonicola Angelone.
Per barba e capelli c’era la scelta fra Alfonso Cantabene e Giosa D’Urso, come per i calzolai che risultano essere Antonio Alifano, Alfonso Formato e Michele Nittoli. Chi aveva intenzione di farsi una casa poteva rivolgersi a ben due capimastro muratori, Francesco Giorgio e Domenico Di Piano. Seguono il carradore Nicola Albanese, i fabbricanti di mobili Aniello Infante e Pietro Rullo, il fabbricante di mattoni Carmine Pastore, la fiuttaiuola Lucia Soriano, l’ebanista Leopoldo D’Andrea. Vi sono poi i poveri calzolai Antonio Alifano, Alfonso Formato e Michele Nittoli e i fabbri ferrai Carmine, Pasquale, Amatonicola e Giuseppe Santoro. Sempre aperto il forno coi panettieri Concettina Verderosa e Michele Sciarrillo, grazie ai mugnai Francesco e Luigi Quagliariello, mentre la carne di capra era una specialità dei beccai Pasquale Guerriero e Giuseppe Verderosa. L’arte della falegnameria era mestiere di Pietro Rullo e Bonifacio Borriello, quella del sensale di Achille Gattone e Gerardo Risi.
Si distinguevano Salvatore D’Amelio ed Angelo Perrone, i cui ottimi cheese and butter (formaggi e burro) avevano oltrepassato il confine. Erano infatti diventate due aziende leader nella produzione irpina di formaggi e latticini. Fra i notabili: l’avvocato Nicola Sepe, seguito dall’avvocato Nicola Grassi fu Filippo (1861-65 e 1866-67), dall’ingegnr Federico Roca (1864-75), dal dottor Giuseppe Palmieri (dimissionario nel 1865), dal cavalier Raffaele D’Amelio (1867-80 e 1881), dal commendator Bernardo Natale (1875-80), dal cavalier Francesco Ricciardi (1880-85), dal marchese Camillo Caracciolo di Bella (1885-1888 defunto), dal cavalier Federico Criscuoli (1888 e passa) e dal cavalier Giulio D’Andrea (1889 e passa). Tutto questo quando il vicino mandamento di Teora eleggeva Nicola Miele (1861-63), il notaio Angelopio De Guglielmis (1863-67), il cavalier Saverio Corona (1867-95) e (1895) e il cavalier Fabrizio Laviano (1895).
Cosa inusuale per un piccolo paese che non possedeva neppure una frazione. Si tratta di Salvatore D’Andrea fu Angelo, farmacista; di Virgilio Lettieri fu Antonio, industriante; di Pasquale Perna di Francesco, farmacista; Gennaro Perrone fu Antonio, industriante; Giuseppe Salzarulo fu Giovanni, industriante; Pietro Santoro di Teodoro, farmacista.
Si tratta di piccoli punti di svago, lungo le vie principali, gli unici, oltre le caffetterie, se si pensa che di pubblico non v’è altro, se non i locali dei tabaccai Domenico Corso e Giuseppe Ricca. Ma per il caffè non c’era problema. Lo si poteva gustare da Angelo D’Andrea o da Giacomino e Salvatore Milano. Per il resto si tratta di negozietti, piccoli, ma ricchi di cianfrusaglie, come quello dei venditori di cuoiami Angelo, Giuseppe e Antonio Palmieri. Se la vivacchiavano meglio sicuramente gli speziali manuali Salvatore Milano e Alfonso Sibilia. Un po’ meno i sarti Giovanni Ronca e Carlo Ricca.
Era di mestiere pittore di stanze Carmine Antonio D’Urso, mentre venditori di vino ufficiali risultano Amatonicola Angelone e Benedetto D’Andrea e negoziante di legnami Giuseppe Verderosa e negoziante di tessuti, Alfonso Formato e lo stesso Amatonicola Angelone.
Per barba e capelli c’era la scelta fra Alfonso Cantabene e Giosa D’Urso, come per i calzolai che risultano essere Antonio Alifano, Alfonso Formato e Michele Nittoli. Chi aveva intenzione di farsi una casa poteva rivolgersi a ben due capimastro muratori, Francesco Giorgio e Domenico Di Piano. Seguono il carradore Nicola Albanese, i fabbricanti di mobili Aniello Infante e Pietro Rullo, il fabbricante di mattoni Carmine Pastore, la fiuttaiuola Lucia Soriano, l’ebanista Leopoldo D’Andrea. Vi sono poi i poveri calzolai Antonio Alifano, Alfonso Formato e Michele Nittoli e i fabbri ferrai Carmine, Pasquale, Amatonicola e Giuseppe Santoro. Sempre aperto il forno coi panettieri Concettina Verderosa e Michele Sciarrillo, grazie ai mugnai Francesco e Luigi Quagliariello, mentre la carne di capra era una specialità dei beccai Pasquale Guerriero e Giuseppe Verderosa. L’arte della falegnameria era mestiere di Pietro Rullo e Bonifacio Borriello, quella del sensale di Achille Gattone e Gerardo Risi.
Si distinguevano Salvatore D’Amelio ed Angelo Perrone, i cui ottimi cheese and butter (formaggi e burro) avevano oltrepassato il confine. Erano infatti diventate due aziende leader nella produzione irpina di formaggi e latticini. Fra i notabili: l’avvocato Nicola Sepe, seguito dall’avvocato Nicola Grassi fu Filippo (1861-65 e 1866-67), dall’ingegnr Federico Roca (1864-75), dal dottor Giuseppe Palmieri (dimissionario nel 1865), dal cavalier Raffaele D’Amelio (1867-80 e 1881), dal commendator Bernardo Natale (1875-80), dal cavalier Francesco Ricciardi (1880-85), dal marchese Camillo Caracciolo di Bella (1885-1888 defunto), dal cavalier Federico Criscuoli (1888 e passa) e dal cavalier Giulio D’Andrea (1889 e passa). Tutto questo quando il vicino mandamento di Teora eleggeva Nicola Miele (1861-63), il notaio Angelopio De Guglielmis (1863-67), il cavalier Saverio Corona (1867-95) e (1895) e il cavalier Fabrizio Laviano (1895).
Cosa inusuale per un piccolo paese che non possedeva neppure una frazione. Si tratta di Salvatore D’Andrea fu Angelo, farmacista; di Virgilio Lettieri fu Antonio, industriante; di Pasquale Perna di Francesco, farmacista; Gennaro Perrone fu Antonio, industriante; Giuseppe Salzarulo fu Giovanni, industriante; Pietro Santoro di Teodoro, farmacista.
Eppure non trascorreranno che cinque anni quando risultano fra gli uomini più in vista decine di persone, fra cui il sindaco notar Angelo Maria Perna, il segretario comunale Alfonso Perna e l’esattore delle tasse Francesco D’Amato. Ma anche gli assessori avevano il loro peso politico ed economico, in quel 1889, quando a Lioni, che contava 5145 abitanti, erano stati prescelti Epifanio Ronca, Alessandro D’Amelio, Amato Angelone e Francesco Bianchi. Sono gli anni in cui ci ritroviamo a presidente della Congrega di Carità, l’unica del paese, Amato Nicola D’Amelio e, a parroco, il vicario curato, monsignor Francesco Calvanese della parrocchia di Maria Santissima Assunzione.
Molti i preti. Il clero era infatti rappresentato da Amato Rizzi, professor Giuseppe Perna, Giovanni Finelli, Francesco Salzarulo, Sebastiano D’Andrea, Giuseppe Perrone, Francesco Alifano, Alfonso e Rocco Bianchi, maestro Salvatore Salzarulo, Guglielmo Ronca, Carmelo Silvis e Rocco Garofalo. Alle scaramucce ci pensava il notar Giuseppe Salzarulo, nella funzione di giudice conciliatore e il vice pretore, dottor Nicola Perna.
Ben 8 le scuole elementari (classi) che ospitavano 450 alunni, sotto la maestria degli insegnanti Angelo Ricca, sacerdote Salvatore Salzarulo, sacerdote Guglielmo Ronca, Giuseppe Sibilia, Eugenia Vescelli, Maria Felicia Cieri, Antonetta Sibilia, Felicia Moscariello.
Vi era poi una scuola privata con 10 alunne, retta dall’insegnante Maria Grazia Tordela.
Due i medici chirurghi condottati, Nicola Perna e Antonio Santoro. Dieci anni prima, nel 1880, si ricorda invece la figura di un altro medico nativo di Lioni ma che esercitava la professione a Teora. E’ l’esercente dell’arte salutare Amato Nittoli di Salvatore. Funzionante anche la Società Operaia di Mutuo Soccorso, rappresentata in paese dall’Associazione Operaia di Mutuo Soccorso, con un fondo sociale di 1.500 lire, con a presidente Alessandro D’Amelio e Salvatore Salzarulo a segretario.
Molti i preti. Il clero era infatti rappresentato da Amato Rizzi, professor Giuseppe Perna, Giovanni Finelli, Francesco Salzarulo, Sebastiano D’Andrea, Giuseppe Perrone, Francesco Alifano, Alfonso e Rocco Bianchi, maestro Salvatore Salzarulo, Guglielmo Ronca, Carmelo Silvis e Rocco Garofalo. Alle scaramucce ci pensava il notar Giuseppe Salzarulo, nella funzione di giudice conciliatore e il vice pretore, dottor Nicola Perna.
Ben 8 le scuole elementari (classi) che ospitavano 450 alunni, sotto la maestria degli insegnanti Angelo Ricca, sacerdote Salvatore Salzarulo, sacerdote Guglielmo Ronca, Giuseppe Sibilia, Eugenia Vescelli, Maria Felicia Cieri, Antonetta Sibilia, Felicia Moscariello.
Vi era poi una scuola privata con 10 alunne, retta dall’insegnante Maria Grazia Tordela.
Due i medici chirurghi condottati, Nicola Perna e Antonio Santoro. Dieci anni prima, nel 1880, si ricorda invece la figura di un altro medico nativo di Lioni ma che esercitava la professione a Teora. E’ l’esercente dell’arte salutare Amato Nittoli di Salvatore. Funzionante anche la Società Operaia di Mutuo Soccorso, rappresentata in paese dall’Associazione Operaia di Mutuo Soccorso, con un fondo sociale di 1.500 lire, con a presidente Alessandro D’Amelio e Salvatore Salzarulo a segretario.