Gerardo Di Martino
Ma veramente c’è qualcuno in Italia che pensa che la posizione della persona offesa dal reato debba essere inserita nella nostra Costituzione? Sembra di si, visto che la proposta arriva da una maggioranza in Parlamento trasversale rispetto agli schieramenti.
L’idea quale sarebbe? Inserire nella Carta fondamentale una norma per la tutela delle vittime del reato, sullo stesso piano dell’imputato e nello stesso punto in cui vengono a lui riconosciuti diritti, libertà e garanzie.
Come dire che la stessa esistenza dello Stato va riconosciuta nella Costituzione. Oppure che l’integrità individuale è protetta dalla Carta ovvero che l’omicidio è rifiutato dalla Repubblica.
Ne avete contezza? Esistono norme costituzionali di questo tipo? Forse perché sono le fondamenta stesse dell’Ordinamento?
Fin quando esiste uno Stato, le vittime sono tutelate e rappresentate dalla Comunità, da tutti noi, per il tramite di chi è tenuto all’esercizio dell’azione penale, la quale ultima nemmeno potrebbe affacciarsi nei Palazzi di Giustizia, se non promanasse direttamente da questa esigenza di fondo sulla quale è retta la stessa Repubblica.
Il riconoscimento del diritto di difesa quale diritto tiranno rispetto a tutti gli altri suoi eguali nasce, invero, dall’esigenza di garantire la parte debole, l’Uomo che senza la legittimazione e l’innalzamento di quei valori al rango di “fondamentali”, sarebbe spazzato via dalla pretesa punitiva pubblica e dalla gigantesca potenza di fuoco dello Stato, infinitamente sproporzionata al cospetto del cittadino.
Non è un caso che nelle dittature di tutte il mondo, storicamente, ciò che viene annichilito in primo luogo sia il valore della difesa e delle regole.
È indispensabile, piuttosto, incominciare a pensare ad un nuovo modello in grado di presidiare proprio le regole, con lo scopo di renderle inderogabili e primarie per tutti, a partire dall’azione dei magistrati che le dovrebbero rispettare, al cospetto dell’inalienabile e connaturato diritto di difesa.
Come sarebbe il caso, ancora, di rendere i provvedimenti giurisdizionali e le sentenze finalmente capaci di incidere realmente nella vita di ciascuno nonchè nei rapporti. Non a chiacchiere, né con inutili giravolte di principio.
A partire, anche qui, da strumenti capaci di tutelarne l’imperatività e la cogenza da parte dei medesimi magistrati e da tutti gli altri organi dello Stato forniti di un qualsivoglia potere.
Troppo spesso, ormai, si finisce per incorniciarli. Per di più in conseguenza dell’intervento o del subentro di fattori svariati, tanto eterogenei da essere incomprensibili ai più.
Un sistema che gira a vuoto, non serve a nessuno. Se non a chi vive con quel sistema. Tutti gli altri non ne avvertiranno il vigore. Né, sol per questo, l’esigenza.