Negli anni Sessanta del ‘900, il primo Centro-sinistra, quello, per intenderci, di Fanfani e di Moro, di Nenni e De Martino, fu preceduto e legittimato da estenuanti congressi della Dc, da dotti dibattiti sui giornali e nel mondo della cultura, da una lacerante scissione socialista della quale persistono ancora oggi le conseguenze nella interminabile frammentazione della sinistra. Oggi per la gestazione e il parto di quella che Luigi Di Maio definisce una “nuova era” sono bastati meno di 30 mila click sulla piattaforma Rousseau, un software gestito da una srl per favorire la partecipazione diretta alla vita politica, che non viene preso sul serio nemmeno dai suoi iscritti (175 mila, dei quali meno di un quinto risponde alle sollecitazioni della dirigenza). Più sobriamente, l’altro contraente dell’alleanza che nasce, Nicola Zingaretti, parla di “un fatto molto positivo”, e lo saluta ritirando tutte le querele a suo tempo presentate contro Beppe Grillo e i Cinque Stelle (il che forse è un bene, perché le sedi naturali della politica sono le piazze e il Parlamento, non i tribunali, ma neppure il cabaret). Ma che cosa sta venendo alla luce così frettolosamente in queste torride ore di mezz’agosto? Non certo una riedizione del Centro-sinistra (manca il centro), e neppure un’alleanza fra progressisti (ogni contraente mantiene programma e priorità, non c’è un progetto condiviso). Quello che si vede abbastanza nitidamente è un connubio fra populismo grillino e velleitarismo democratico, frutto dell’accordo non sapremmo quanto sincero fra Di Maio e Zingaretti (“per governare non si può essere avversari” dice lapalissianamente il segretario del Pd, e lì si ferma), benedetto tra un vaffa e l’altro da Beppe Grillo, allungato da un esangue Matteo Renzi. Allora, il primo Centro- sinistra nacque sulle spoglie dell’indu – stria elettrica nazionalizzata, pretese dai socialisti; oggi Grillo impone la rete unica delle Tlc, che forse neppure lui sa cosa significa, ma che certamente comporterà il passaggio dal privato al pubblico di una infrastruttura essenziale per il futuro del paese: una nemesi storica! Comunque sia, il nuovo oggetto della politica verrà testato fra poco più di un mese, il tempo che manca alle elezioni regionali abbinate al referendum del 20-21 settembre; ma mentre sull’esito di quest’ultimo non ci sono dubbi, e i Cinque Stelle ne rivendicheranno il merito; sul risultato della prova sul campo grava più di un’incognita, in particolare per quanto riguarda Liguria, Toscana, Marche, Puglia. E tuttavia i cantori dell’alleanza spingono già lo sguardo molto più in là: se l’accordo funziona ogni ambizioso obiettivo sarà a portata di mano: un nuovo governo, il completamento della legislatura, il Quirinale. Ma così si capisce subito chi dovrà pagare il conto della festa: Giuseppe Conte, sempre più provvisorio inquilino di palazzo Chigi; e i milioni di italiani non interpellati da Rousseau. Il primo sarà un osso duro da spolpare; tutti gli altri sono già stati messi sull’avviso dal ministro Boccia, uno che di lockdown se ne intende: “Si balla fino a Ferragosto, poi necessaria una stretta”, ha detto a “La Stampa”.
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