Di Annarita Rafaniello
Purg., XVII, 25 “Poi piovve dentro a l’alta fantasia”
Le Lezioni americane uscirono postume, nel 1988, Calvino morì mentre vi stava lavorando. Si tratta di un ciclo di sei conferenze che l’autore scrisse per la Harvard University, dove altri come Eliot, Stravinsky, Borges si erano già dedicati alle rinomate Poetry Lectures.
Con quest’opera in forma di discorso, Calvino dona all’umanità un messaggio di fiducia nelle infinite potenzialità della letteratura, aldilà delle sirene ammaliatrici dei nuovi mezzi di comunicazione.
La sua “pedagogia dell’immaginazione”, risulta oggi ancora più utile nell’inflazione di immagini digitali che ci bombarda quotidianamente, e soprattutto ci libera dal timore dell’“intelligenza artificiale”: il passaggio dall’immaginazione alla parola e dall’espressione verbale a quella visiva è un “cinema mentale”, un percorso di conoscenza insostituibile ed esclusivamente umano. Il viator Dante nel girone degli iracondi a un certo punto comprende che le visioni che si stagliano di fronte ai suoi occhi increduli sono immagini mentali e provengono da un’alta fantasia: “Moveti lume che nel ciel s’informa”. Ugualmente il nostro scrittore, passando in rassegna le composizioni visive di Ignacio de Loyola e le tecniche cinematografiche, la pittura di Escher e la musica di Bach, dimostra che sempre e comunque continuerà a piovere nella “fantasia” dell’artista, un mondo straordinario, un pozzo senza fondo, uno spirito nel quale il contingente assume infinite possibilità di rappresentazione.
La visibilità dell’arte in ogni sua forma, evoca la sua peculiare molteplicità. Ed ecco che il romanzo è un sistema che rispecchia il mondo, “un nodo o groviglio, o garbuglio o gnommero” diceva Gadda. Citando Lucrezio, Ovidio e Borges, Calvino ci porta per mano a capire la vita stessa: il mondo è infinite combinazioni e metamorfosi, una rete di relazioni, un sistema di sistemi; si può giocare a comporre le tessere di un puzzle, ma è inutile cercare di restringerlo; la vita non si possiede, come l’amore, un sentimento che si estende nel tempo e nello spazio, “non coincide con l’essere che ci illudiamo di possedere” (M. Proust).
La letteratura è “fiamma”, ma anche “cristallo”, dopotutto è grazie alla scrittura che conosciamo e interpretiamo e la lettura è l’unico antidoto alla “peste del linguaggio che si manifesta con la perdita e la confusione dei significati”. L’esattezza non è rigidità, è la leggerezza precisa della piuma di Maat che pesava le anime sulla bilancia del mito egizio. È verità contro mistificazione. Letteratura è, ancora, rapidità, velocità mentale, ragionamento istantaneo, intuizione e collegamento. È il dio Mercurio, che stabilisce relazioni nell’Universo, nulla ha a che fare con i nostri media “che appiattiscono ogni comunicazione in una crosta uniforme e omogenea”.
Infine, sopra tutto, la letteratura è leggerezza contro la pesantezza, l’inerzia, l’opacità e la bruttezza del mondo. Come Perseo, eroe alato che decapita la Gorgone, anche l’artista taglia la testa al mondo, lo trasforma: dal sangue di Medusa nasce Pegaso, cavallo alato che con un colpo di zoccolo sul monte Elicona fa scaturire la fonte delle Muse. Perseo non rifiuta la Gorgone, la tiene chiusa in un sacco e salva l’umanità dal peso del vivere.