Racconta un’esperienza di perdita la raccolta “Svenimenti a distanza” di Mario Fresa, il Melangolo. Lo sottolinea con forza Eugenio Lucrezi, spiegando come “Essendo un manufatto di parole, Svenimenti a distanza non può che svolgersi nell’estensione del suo corpo fatto di pagine, di racconto ed è il racconto di un’esperienza di sofferenza e perdita, anzi di sofferenza risultante da una successione di perdite”. Fresa, scrittore salernitano, filologo attento, non sceglie nessuna parola a caso, la forma diventa significato attraverso il gusto per gli enjambement e per le sperimentazini, poichè per citare ancora Lucrezi, “la piega che curva lo scrivente sulla sua scrittura è a tal punto ampia da incontrare in ciascuno dei suoi punti una folla innumerevole di personaggi, di scenari, di ambientazioni, di detriti memoriali e di reperti provenienti da diverse storiografie”. “Gli svenimenti a distanza” sono, dunque, le ferite che caratterizzano il quotidiano, scanditi da una sorta di stazioni di via Crucis, da “Convalescenza” a “Nodo parlato”. La scrittura diventa così “un atto di coraggio del tutto autonomo rispetto alle sanzioni del fine vita”. “Il rapporto tra noi è una gengiva azzurra e tanto si dimentica lo stesso. Come i gamberi e l’acqua nodosa che li fanno diventare etern. Ancora un ospite e odore di esempi finiti male. Meglio svenire in qualsiasi continente che tra le tue braccia”. Ad alternarsi l’onirico e il quotidiano, in quella che appare una costruzione polifonica in cui ciascuna voce consegna la sua visione del mondo, la sua rinuncia, nel tentativo di fuggire da qualsiasi spazio o tempo, in un’alternanza costante di prosa e versi
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