Dalla memoria del territorio alla storia di genere passando per la ricerca d’archivio. E’ un itinerario che racconta la cultura come strumento di libertà quello che consegna Cecilia Valentino, protagonista di Conversazioni in Irpinia in Biblioteca Provinciale di Avellino. E’ Emilia Cirillo a ricordare come la passione politica abbia segnato il suo impegno nelle associazioni femminili, fondatrice dell’Udi e segretaria del Cidi. “Il suo percorso – spiega Cirillo – trae fondamento da quelle rivoluzioni che hanno trasformato la nostra società, i suoi libri consegnano ritratti di famiglie liberali che hanno visto nella cultura strumento per agire nel mondo, raccontano il legame tra donne virtuose come nelle Mancini, vicende di famiglie che si intrecciano con la storia nazionale. Cecilia è una ricercatrice raffinata che ha collaborato fin dall’inizio con il centro Dorso, con la pubblicazione di un prezioso volume dedicato alla stampa politica irpina”. E’ Franco Festa a sottolineare come la questione femminile sia centrale nella sua produzione in cui il lato pubblico incontra il privato, dalla storia della maestra uccisa in ‘Delitti incrociati’ alla memoria familiare che si intreccia con quella di villa Amendola, dalle donne della società borghese legate alla famiglia Mancini alla condizione delle operaie nei mulini. E mette in guardia su una società che dietro il pretesto delle innovazioni tecnologiche sembra voler cancellare il passato.
E’ quindi Cecilia Valentino a raccontarsi, dal percorso di emancipazione legato alla cultura all’esperienza di docente in una scuola che si apriva finalmente all’attualità. Spiega come in un libro come “Delitti incrociati” “ritroviamo quella cultura patriarcale di cui oggi avvertiamo ancora i retaggi. Non possiamo immaginare che possa essere cancellata d’un tratto, radicata come è nelle teste di tanti. Dalla storia della maestra Ceccacci, uccisa a Montella davanti scuola dalla moglie di un notabile del luogo, gelosa di lei, emergono i giudizi moralistici della società del tempo, le etichette con cui doveva fare i conti l’universo femminile. Mentre nel ritratto delle donne di casa Mancini ho scelto di porre l’accento su tre figure femminili di grande cultura, la moglie, la mamma e la figlia di Pasquale Stanislao Mancini. Un percorso, quello dedicato alla ricerca, che parte da un libro di storia orale dedicato ai minatori di Tufo. Li ho intervistati e ho conosciuto le donne che lavoravano nei mulini, a cottimo, alla mercè dei caporali che chiedevano favori, promettendo di alleggerire la loro fatica. Storie terribili che oggi facciamo fatica a immaginare. Una narrazione in cui protagoniste sono sempre le donne. Dalle maestre del primo Novecento alla borghesia colta e cosmopolita raccontata in ‘Sul filo della memoria. Una villa e una città’ che accende i riflettori sul ruolo delle donne nella guerra. Fino ad arrivare ai versi delle ‘Donne del mio paese’ di Stiso che ho ritrovato nel film della Cortellesi”. Spiega come “la cultura è fondamentale per sopravvivere all’universo dei social, in cui il reale si confonde con il virtuale e l’insegnamento migliore arriva dall’esempio”. Un itinerario che incontra anche quello del socialismo meridionale con “l’omaggio a Ferdinando Cianciulli e a mio nonno, Giuseppe Barbarossa, avvocato di Canosa”. Confessa di non essere troppo ottimista sul futuro “Mi sembrava che allora ci fosse un futuro, un domani in cui sperare, si lottava per gli ideali. Oggi tutto sembra più difficile ma è importante non restare in silenzio”