di Gerardo Di Martino *
Procediamo, dritta tutta, verso l’estate. E questa sarà calda, molto calda, caldissima. Nel solco delle ultime, d’altronde. Senza pausa, con tanto sudore, affogheremo nell’afa. Già sono pronto: dopo averlo maledetto e pregato per il caldo, imploreremo il freddo perché lo scacci via senza ritorno.
Sin qui, direi tutto normale. Se non fosse che il momento in cui il Sole avrà appena oltrepassato le due costellazioni del Cane coinciderà, quest’anno, con l’adunanza dei vertici dell’Associazione Nazionale Magistrati.
Tenete ben a mente, allora: la Canicola comincerà già venerdì prossimo 14 giugno, quando a Roma si riunirà il sindacato delle toghe combattenti per decidere, con assoluta determinazione, su scioperi e proteste contro “la loro riforma”.
Lo chiamano Comitato Direttivo Centrale. Solo il nome incute timore. E la riforma non è ancora stata presentata alle Camere. Figuriamoci dopo. Ma per ora attendiamo.
Si parte dalla discussione sull’istituzione di un’Alta Corte che deciderà, secondo il disegno di legge depositato a Palazzo Chigi dal Ministro Nordio, sui comportamenti e sugli illeciti disciplinari commessi dai magistrati.
Ecco, questa settimana – dopo aver ragionato di separazione delle carriere nella scorsa – ci occupiamo delle altre due novità che porta in grembo la riforma della magistratura: l’Alta Corte disciplinare e i due CSM, il primo per gli accusatori ed il secondo per i giudici, indipendenti l’uno dall’altro.
Apriti cielo, pure qua! Notti insonni, non solo per la calura. «C’è qualcosa che va oltre il proposito di infliggere una umiliazione alla magistratura», ha scritto dalle pagine di “Questione Giustizia” (la rivista di Magistratura Democratica, una delle quattro anime dell’ANM), il dr. Nello Rossi, fervido credente nelle doti taumaturgiche della magistratura correntizia e suo esponente storico.
La vita insegna: dosi così massicce di animosità ed acredine, solitamente, allungano ombre che celano inconfessati motivi. E se fosse un grande timore a muovere l’insurrezione delle toghe? Perché, vedete, oggi gli accusatori si saldano con i giudici in un corpo unico, unitario ed indissolubile, che assume le forme e le movenze, anziché di un Ordine, di struttura di un Potere.
I pubblici ministeri, poi, rappresentano il numero più esteso ed hanno, perciò, la maggioranza nell’attuale, unico CSM, autogovernandosi. Posseggono, nelle loro mani, le chiavi per l’accensione del procedimento penale e sono, anche per questo, temuti da amministratori pubblici, politici, parlamentari e ministri. Non ci vuole nulla ad iscrivere un nome nel registro degli indagati e pufff, bruciata credibilità e carriera costruita in una lunga vita. Per non parlare di arresti e misure cautelari.
Sarebbe dunque una sciagura perdere l’unità, quale che sia la formula per il distacco, sì da rinunciare al braccio secolare della magistratura rappresentato proprio dall’unicità del suo organo di autogoverno (il CSM, per l’appunto).
Non solo dunque separazione dalla parte giudicante, con impossibilità di cogestire le questioni che vengono annoverate come “interne” ma che tutto sono tranne che “interne”: nomine dei capi negli uffici direttivi e semidirettivi, Procure, Tribunali e Sezioni, Corte di Appello e Sezioni, Cassazione e Sezioni; trasferimenti, giudizi disciplinari etc etc. Per quanto, impraticabilità di maggioranze “a guida Procure” con buona pace dei giudici.
L’ingresso dei laici e la composizione di entrambe le quote decisa dalla sorte, anziché com’è oggi “a tavolino”, dovrebbero fare il resto (ci torneremo la settimana prossima, dopo il “Politburo”…).
Non una svolta epocale, indubbiamente, ma culturale si. Dove la cultura non è più “della giurisdizione” per entrambi, pubblici ministeri e giudici, bensì “del diritto”.
D’altro canto, «l’Italia è il solo paese democratico dove le funzioni di giudice e di pubblico ministero sono affidate allo stesso corpo di magistrati indipendenti, che si autogovernano attraverso lo stesso Organo». Lo scrivevano nel 1997 due studiosi al di sopra di ogni sospetto come Carlo Guarnieri e Patrizia Pederzoli.
In trent’anni è cambiato veramente poco. E forse, nemmeno cambierà.
*avvocato