Fernando Zaccaria, agronomo ambientalista che vigila sulla condizione dei nostri boschi, nelle ultime settimane due importanti incendi hanno interessato i monti del Partenio.
Dal Monte Vallatrone alla zona che costeggia la città di Mercogliano, sono andati in fumo più di due ettari di terreno. Quali sono i danni?
“Bisogna fare una distinzione tra i danni immediati legati alla perdita di vegetazione e all’alterazione dell’equilibrio in quelle zone e quelli che vedremo tra qualche anno. Avremo sicuramente un cambiamento dello scenario vegetazionale. Nelle aree interessate non avremo più boschi per un lungo tempo e mancherà l’equilibrio che causerà l’ingresso di una nuova flora e fauna. Nel tempo si assisterà ai cosiddetti danni da dissesto idrogeologico. Gli incendi sono causa di una perdita di consistenza vegetazionale”.
Cosa comporterà e quando vedremo le vere conseguenze?
“L’albero intercetta la pioggia smorzando l’energia cinetica di cui è dotata, cosicché quando cade sul terreno lo fa con meno forza. Venendo facilmente assorbita dal terreno, si evita quell’effetto di dilavamento legato anche agli apparati radicali che essendo ancora vivi fungono da rete di contenimento del terreno.
Con l’incendio tutto questo non si verifica. Non lo vedremo a breve, ma in inverno o nei prossimi anni. Il rischio è alto. Anche perché la cenere che si va a depositare sul terreno determina una certa impermeabilità. Quindi, tenendo presente che con l’assenza degli alberi l’acqua batte direttamente sul suolo, si avrà un effetto dilavamento maggiore sulla superficie. Si determina un effetto di erosione poiché il terreno agrario viene trasportato via creando nel tempo un ambiente roccioso e molto degradato. Qui l’uomo deve intervenire con azioni di manutenzione straordinaria volti a ricostituire la flora del territorio ed a consolidare i pendii. C’è da tenere in considerazione anche il danno economico. L’intervento delle forze di spegnimento ha un costo enorme, al quale si aggiunge quello di ricostituzione delle aree boscate. Bisogna favorire lo sviluppo delle piante autoctone che sono più resilienti”.
Quindi aumentano i rischi legati al dissesto idrogeologico
“Non esistendo più il bosco si alterano le condizioni di quel territorio, impattando sulla fauna e flora locale. L’incendio elimina quella rete di protezione rappresentata dalle piante e soprattutto dagli alberi. Il terreno viene esposto direttamente all’azione battente delle piogge, aggravata negli ultimi anni dal fatto che con i cambiamenti climatici in atto esse sono molto più intense. Delle vere e proprie bombe d’acqua”.
Spesso parliamo di ambienti popolati da una certa tipologia di fauna. Cosa accade in questi casi?
“La fauna mobile riesce a spostarsi e a mettersi in salvo, tipo gli uccelli. Il problema sono le nidificazioni in atto in quel momento e i cuccioli di volpi e di altri mammiferi nascosti nelle tane. Così come per gli insetti predatori e necrofagi che sono particolarmente interessanti dal punto di vista del territorio”.
Si parla spesso di prevenzione, ma i terreni incolti non aiutano fornendo combustibile alle fiamme e diventando un ostacolo per i soccorsi
“La gestione preventiva dei boschi è una questione cruciale. Sono importanti alcuni tipi di interventi, come la costituzione delle fasce tagliafuoco, che vengono fatte ai margini dei boschi, lungo le strade con la funzione di rallentare l’avanzamento del fuoco, esse prevedono l’eliminazione dei cespugli al fine di non consentire alle fiamme di raggiungere la chioma degli alberi, mantenendosi rasente al terreno.
Bisogna agire in modo diretto. La prevenzione serve ad evitare il danno, al peggio a contenerlo entro limiti “accettabili”. Occorre realizzare quelle opere, sentieri antincendio, viali tagliafuoco, vasche di raccolta acqua, piazzole di atterraggio per elicotteri che permettono agli operatori di intervenire prima che l’incendio diventi irrecuperabile.
Si deve inoltre sottolineare che le realizzazioni di opere di prevenzione diretta non devono essere traumatiche per il territorio e non devono causare trasformazioni irreversibili. Per tale motivo si deve fare ricorso a tecniche, che puntino, soprattutto, sui processi successionali di recupero e sull’aumento delle capacità di resilienza, evitando, per quanto possibile, interventi che comportano trasformazioni, quali ad esempio invasi di rifornimento idrico in cemento sopraelevato o nuove strade“.
E parliamo di incendi scaturiti quasi sempre dalla mano dell’uomo…
“C’è sempre la mano dell’uomo e le condizioni climatiche di certo non aiutano. Parlare di sensibilizzazione è importante, ma basta l’azione di un singolo irresponsabile per vanificare tutto. L’ultimo incendio sembra sia partito dalla strada provinciale, parliamo quindi di un’area non demaniale ma di una zona privata. L’abbandono dei nostri terreni, sempre più frequenti, rappresenta un vero e proprio problema per il futuro poiché non di proprietà demaniale e quindi non possono essere sottoposti ad interventi di mitigazione, diventando delle vere e proprie aree a rischio incendio. Spesso è difficile risalire anche ai reali proprietari”.
Qual è il ruolo dei Comuni e in che modo dovrebbero approcciarsi rispetto a questa problematica?
“I comuni, con la loro proprietà demaniale, dovrebbero impiegare parte dei proventi derivanti annualmente dai tagli boschivi e dalla fida pascoli, per effettuate quelle opere di miglioramento previsti dal piano di gestione comunale, che include anche la prevenzione agli incendi (i viali tagliafuoco, opere di raccolta e distribuzione acqua, sentieri antincendio) e altro (sentieristica). Devono smettere di utilizzare la montagna per coprire talvolta la propria incapacità amministrativa salvando i loro bilanci comunali attraverso lo sfruttamento dell’unica risorsa sicura, la montagna, utilizzandola spesso come un semplice bancomat da cui trarre solo vantaggi ma non curando la sua tutela”.