Andar per sagre, in questi mesi di luglio ed agosto, è lo sport più praticato dagli italiani, il nuovo turismo di massa fai da te. Di chi non può permettersi di fare vacanze al mare. Di chi le ha già fatte, magari per una o due settimane raggiungendo le spiagge vicine in macchina. Di chi è sempre in vacanza perché in pensione o perché di lavoro proprio non ne ha. Le sagre, insomma, sono il divertimento più popolare: a portata di mano, che ti fa passare una serata in compagnia, divertendoti e risparmiandoti di andare al ristorante. Oi, si sa, l’Italia è un popolo di santi e di navigatori. Di santi, oggi, un po’ di meno, di navigatori, nel senso di vacanzieri, un po’ di più. Ma soprattutto gente che vuole svagarsi enon pensare alla crisi, alla politica e alle difficoltà quotidiane; ed anche quando si è al lavoro (che da noi finisce immancabilmente alle quattordici, giusto il tempo del pranzo e di un riposino) carica la famiglia a bordo e va per sagre. Una volta in Irpinia di sagre se ne facevano davvero poche: si celebravano solo le feste religiose, spesso il Santo Patrono, ed avevano termine con il gran finale dei fuochi pirotecnici di Montefalcione nella prima domenica di settembre, che molti andavano a vedere dall’Ofantina, sopra Parolise. Oggi le feste continuano anche dopo ed hanno cambiato pelle ed assunto la natura di sagre paesane di prodotti più impensati, non necessariamente tipici del territorio. Pur di offrire occasioni di ritrovo e di divertimento,si allestiscono mostre dell’artigianato locale, concerti in piazza, cinema all’aperto, gare di liscio e di musica sudamericana, elezioni di miss, spettacoli teatrali, garedi calcetto e discopone: il tutto con stand e percorsi gastronomici e aglianico in abbondanza e ad un prezzo più che popolare. Addio bande musicali dai nomi pugliesi che hanno costituito una delle poche occasioni di svago degli anni sessanta e settanta. Il gusto è cambiato con grande velocità ed anche i costumi a causa della televisione e dei Social che hanno massificato la cultura. Oggi le feste richiamano affezionati da tutte le zone vicine, alla ricerca di un facile divertimento contro la noia del quotidiano. “Quest’anno le sagre le ho fatte proprio tutte. Ho gustato di tutto e con pochi euro”, mi diceva un amico soddisfatto. Le sagre erano nate come feste popolari per celebrare un raccolto (uva, ciliegie, castagne) e si facevano al tempo della raccolta. Oggi tutte le occasioni sono buone e le sagre si fanno immancabilmente nei mesi di luglio e di agosto e finiscono con il grande ritorno in città di fine agosto. Si fanno sagre dei fusilli, dei cavatielli, delle coccetelle, delle matasse, delle maccaronare, dei fichi, delle pannocchie, delle castagne, dei tartufi, ma anche della porchetta, dei funghi (anche quando non è tempo!), della pizza, della birra,della cioccolata,dello gnocco e perfino dei Wurstel e del pesce di mare: che in Irpinia sono prodotti d’importazione. A volte non si perde tempo neanche per sponsorizzare un prodotto tipico del luogo: tutti servono alla bisogna, basta diversificare la scelta. A volte non si chiamano neanche sagre ma feste degli emigranti, dei forestieri o si inventano slogan accattivanti come “Assettati a ddò vuò” o “Puozzi passà p’ ‘a Prata”. Molte iniziative vengono promosse, patrocinate e,avolte,finanziate dai comuni e quasi sempre gestite dalle pro Loco o da comitati formati per l’occorrenza. Sono divenute un vero e proprio business: non ci si perde mai (anche se le spese di allestimento fatte da ditte specializzate e i complessi musicali e gli artisti, anche di nome, costano un occhio della testa), si pagano poche tasse onon se ne paganoaffatto e, spesso,restano utili consistenti. Le sagre, quelle vere, dovrebbero perseguire, la conoscenza, la promozione e la valorizzazione dei prodotti locali, nella loro genuinità ed originalità, e le pietanze tipiche non dovrebbero essere “rivisitate” dai troppi chef in circolazione e secondo la cucina di oggi. L’offerta del cibo dovrebbe favorire il ricordo, o la conoscenza per i più giovani, del gusto dei nostri avi anche con la riproduzione di episodi di storia locale, di usi e costumi di unavolta. Non accontentare solo la pancia ma stimolare l’intelletto nel tramandare e far conoscere una comunità ed una civiltà–quella contadina- ormai estinta; offrire alla conoscenza fasti e gesta, personaggi ed avvenimenti del passato, nel recuperodi antiche forme culinarie e riproposizione di vecchie ricette e di prodotti della terra, ormai, introvabili, e sollecitandone la coltivazione. Alcuni comuni più avveduti (per es. in Cilento) stanno cercandodi farlo, spingendoal riusodi terreni abbandonati ed al ripristino di una agricoltura di icona. Infine le sagre dovrebbero avere anche lo scopo di rafforzare il concetto di comunità, del vivere insieme, del conoscersi edel parlarsiin gruppo, mettendo da parte, una volta tanto, l’inseparabile telefonino. C’è unagran voglia di comunità, scriveva Zigmunt Bauman: “La comunità ci manca perché ci manca la sicurezza, elemento fondamentale, per una vita felice, mache il mondo di oggi è sempre meno in grado di offrirci e sempre più riluttante a promettere”. Alla Comunità si è sostituito il ghetto che è proprio “l’impossibilità di creare una comunità”. (“Voglia di Comunità”–Laterza 2001). Spesso le sagre servono proprio per uscire dal ghetto!
Nino Lanzetta (edito dal Quotidiano del Sud)