Non pochi amici, impegnati nel laicato cattolico associato irpino, con riferimento alla mia riflessione sulla non totale delegabilità dell’agire politico ai partiti, mi hanno sollecitato ad approfondire ulteriormente le linee di tendenza in atto sulla dibattuta questione della rilevanza pubblica della dimensione religiosa. Credo di dover offrire alla comune esigenza l’attenzione per un aspetto rilevante concernente la questione in esame. Si tratta della palese constatazione che molti laici «impegnati» nel vasto mondo dell’associazionismo cattolico hanno preferito concentrare il proprio impegno nell’area del volontariato e del contrasto alle nuove povertà, piuttosto che in quella dell’impegno politico, ai vari livelli istituzionali. In molti casi si tratta di persone con una significativa cultura sociopolitica e una considerevole capacità professionale nella gestione e progettazione dei servizi di pubblica utilità. Sorge, allora, con immediatezza l’interrogativo del perché di questa loro opzione verso il volontariato e non nell’agone politico tradizionale. Questo opzione può sembrare addirittura paradossale proprio nel momento attuale in cui si afferma, ricorrente, il ruolo pubblico delle dimensione religiosa e cresce il peso e la credibilità della Chiesa istituzionale a fronte della deriva complessiva del quadro politico del Paese. Le motivazioni comportamentali delineate trovano certamente radicazione nella nozione di appartenenza del laicato cattolico associato, portatore della consapevolezza di una forte relazione con la complessità di valori, tradizioni, cultura e modalità organizzativa dello stesso mondo cattolico. È altresì chiaro ai laici cattolici "competenti e responsabili" che la scelta dell’agone politico può non trovare il necessario riscontro di consenso all’interno di una comunità cristiana, non ancora adulta nelle opzioni di voto, ancora legata a carrozzoni politici di stampo personale. Parimenti c’è consapevolezza dei «candidabili» cattolici che le possibilità di mobilitazione dei presbiteri sono scarse, non tanto per carenza di capacità, ma perché ognuno ritiene di non compromettere la «comoda» autonomia o i non pochi rapporti amicali con i vari detentori del potere. In altri termini l’umanesimo sociale di Papa Francesco non è stato ancora sufficientemente interiorizzato dalle realtà territoriali della Chiesa universale. Giova sottolineare, frattanto, che le ipotesi prospettate, sono lontanissime da ogni anacronistico ritorno di tentazione teocratiche, ma costituiscono un doveroso e urgente accompagnamento civile e sociale ai laici cristiani associati in cammino sulle vie tortuose del mondo attuale. E proprio su queste vie il consistente laicato cattolico come intende procedere? Pur avendo compiuto passi significativi sul piano sociopolitico, probabilmente, non è ancora pronto per tradurre in testimonianza civile e politica la propria ispirazione, anche perché la dottrina sociale della Chiesa non ha trovato adeguata collocazione nella catechesi e nella pastorale delle nostre parrocchie. Modestamente ritengo che i tempi sono maturi perché l’identità cristiana comporta urgentemente una interiorizzazione del messaggio cristiano e un consapevole riferimento della propria vita e del proprio progetto per il futuro senza se e senza ma. La fede cristiana, in tal modo, diviene una chiave di lettura della realtà come «luogo» in cui le scelte dei fedeli se incarnano concretamente per costruire la storia di percorsi credibili e di speranza. La verifica di questi generosi percorsi è collegata inevitabilmente al coraggio dei cristiani laici attivi e responsabili che non possono ignorare, propria sulla frontiera del coraggio, l’ancora attuale e relativo messaggio manzionano.
edito dal Quotidiano del Sud