di Felice Santoro
Nell’imponente cattedrale di Sant’Angelo dei Lombardi la sera dello scorso ventinove aprile è stata concelebrata una santa messa in suffragio di papa Francesco, presieduta dall’arcivescovo Mons. Pasquale Cascio, con numerosi sacerdoti, religiosi e religiose presenti. Prima della benedizione conclusiva Sua Eccellenza ha ringraziato per l’ampia e attenta partecipazione, chiesa gremita, e ha ricordato che Francesco chiedeva sempre di pregare per lui e adesso “anche lui deve pregare per noi”, riportando quanto affermato da Giovanni Battista Re, decano del collegio cardinalizio, durante l’omelia funebre di Bergoglio. In prima fila anche alcuni sindaci: Rosanna Repole di Sant’Angelo dei Lombardi, Salvatore Vecchia di Cassano Irpino, Raffaele Cantarella di Conza della Campania e Francescantonio Siconolfi di Guardia Lombardi. Don Pasquale, è cosi che gradisce essere chiamato, ha subito chiarito che “Siamo qui per pregare e per convertirci” e poi indica la linea che seguirà nella sua omelia, felicemente penetrante ed originale. Non un profilo del pontificato con la sua impegnativa eredità ma il presentare una domanda che tutti dovremmo porci. Qual è stato il legame personale, quale relazione spirituale ognuno di noi ha sviluppato con Francesco durante i dodici anni da successore di Pietro? A cominciare con “ il suo essere pastore, vicario di Cristo, al quale chiediamo perdono”.
E cita santa Caterina da Siena, compatrona d’Italia e d’Europa, che la Chiesa ricorda in questo giorno. L’arcivescovo rimarca la positiva coincidenza per evidenziare non tanto la richiesta incessante di Caterina affinché il papa rientrasse a Roma da Avignone, ma soprattutto il suo ripetere quanto fosse importante che “tornasse ad essere pastore”. Il secondo termine, al quale rapportarsi, è padre, che indica la “paternità di Dio in mezzo a noi”, è l’essere pontefice, costruttore di ponti, innanzitutto “fra la misericordia di Dio e la miseria umana”. Ed infine il suo essere maestro, con il suo magistero, in certi momenti infallibile. Questo è l’esame di coscienza a cui invita a sottoporsi. Pastore, padre e maestro sono i tre sostantivi che qualificano il percorso papale. Quanto li abbiamo riconosciuti e quanto siamo stati sulla loro scia? Il monito severo di don Pasquale scuote l’assorto uditorio e ribalta la prospettiva. Il suo argomentare, probabilmente atteso, non è incentrato sulla figura e gli insegnamenti di Bergoglio, che abbondanti si sono riversati su di noi e su cui non mancheranno occasioni per ritornare, ma sfida il cristiano che, entusiasta di questo papa, non misura, però, la fedeltà alle sue idee e, ancora di più, alla sua esigente prassi. Inoltre, sottolinea il carattere forte, combattivo di Francesco e nello stesso tempo la sua “piccolezza”. “Piccolo fra i piccoli, non il grande fra i piccoli o il forte fra i deboli, ma disprezzato fra i disprezzati”. “La Chiesa deve vivere in piccolezza”. Un cammino di fede che “ti porta ad essere illuminato … ti fa vedere oltre i segni della Provvidenza”. “Il percorso è offerto dal Signore… “, ne risultiamo ”rinfrancati e ristorati”. Noi sappiamo solo cambiare strada”, afferma con tono severo. E nomina nuovamente santa Caterina che definisce il papa “il dolce Cristo in terra”. Fondamentale è, in conclusione, “accettare il giogo d’amore sul collo, l’amore del Signore”.