di Rosa Bianco. Questa mattina, a San Pietro a Cesarano, si è tenuto un momento alto di vita civile e democratica: la quinta lezione della Scuola di Educazione Politica, diretta dal prof Franco Vittoria, ha ospitato la Lectio Magistralis dell’On. Goffredo Bettini, offrendo una riflessione profonda sul senso autentico della politica.
Nella lectio magistralis tenuta stamane dall’onorevole Goffredo Bettini si è assistito a un raro momento di pensiero alto, radicale, necessario. Il titolo della lezione – “Che cos’è la politica?” – evocava una domanda apparentemente astratta, ma il tono e il contenuto del discorso hanno subito preso una traiettoria esistenziale, storica, spirituale.
Bettini ha esplorato la politica come disciplina dell’anima e organizzazione della speranza. Una “pulsazione divina”, l’ha definita, che necessita di strutture, regole, processi, ma che non può mai essere ridotta al solo calcolo. Il suo intervento è stato, al tempo stesso, confessione personale e riflessione pubblica, attraversato da riferimenti potenti: Aristotele, Ingrao, il neorealismo italiano, la figura del bambino che cammina solo tra le macerie di Berlino. È stata, in fondo, una liturgia laica sulla necessità di pensare la politica, come luogo della tensione tra giustizia e libertà.
Il cuore della sua analisi sta in un paradosso: senza politica, non c’è spiritualità. E senza spiritualità, la politica decade in tecnica, in nichilismo amministrativo o, peggio, in simulacro comunicativo. Il pericolo – avvertito con forza – è la trasformazione della politica in spettacolo, in una superficie riflettente che comunica senza costruire. È la “politica Instagram”, fatta di attimi, disancorata dal passato e senza progettualità per il futuro. Una politica, ha detto Bettini, che “toglie la profondità” e riduce la democrazia a “lattine sociali”.
Da qui l’invito pressante a recuperare l’anima della politica: non il potere per il potere, ma la funzione ordinatrice che, nella processualità democratica, sa correggere, guidare, riconoscere il momento in cui libertà e giustizia devono bilanciarsi. La grande politica – ha sottolineato – è “fermezza ordinatrice che si apre costantemente al cambiamento”.
Il pensiero di Bettini si è poi addentrato in un terreno oggi poco battuto: il valore del sacro nella politica. In un tempo dominato dalla tecnica e dal nichilismo, ha richiamato alla necessità di un riscatto spirituale, possibile solo dal basso. In questa direzione ha evocato l’incontro – ancora possibile e forse necessario – tra pensiero cristiano e socialismo umanista. Una politica della giustizia che non attende il giudizio ma lo pratica, che non si esaurisce nel conflitto tra potere e identità ma cerca, nella verità del Vangelo e nella fatica del processo democratico, una sintesi umana e storica.
L’onorevole Bettini non ha offerto soluzioni facili. Non è questo il compito della politica, né della pedagogia politica. Ha offerto invece uno sguardo lungo, una riflessione dissonante rispetto all’ansia dell’oggi, capace di cogliere le contraddizioni della modernità, senza cedere al cinismo o alla nostalgia. In una stagione in cui la politica appare irrimediabilmente ridotta a gestione, egli ci ricorda che “comandare non basta”: servono visione, cultura, e la consapevolezza che la politica non è mai neutra, mai solitaria, mai assoluta.
Il suo lascito, in questa lezione intensa e stratificata, si può riassumere nella frase da lui pronunciata con sobria forza: “La politica deve fare il massimo del necessario”. Una frase che rovescia l’iperbole contemporanea del “fare tutto” con il rigore dell’essenziale. Un monito e una promessa. Perché la politica, se è davvero tale, ha ancora il dovere di cambiare il mondo. Ma solo se sa, prima, cambiare sé stessa.
Nel suo intervento al convegno il professor Franco Vittoria ha poi aperto il discorso con una riflessione sulla concezione di Hannah Arendt, filosofa per la quale la politica non coincide con il potere, né con la mera gestione amministrativa, ma rappresenta piuttosto lo spazio dell’agire comune, della pluralità e della libertà. Per Arendt, infatti, la politica sorge laddove gli esseri umani si incontrano in pubblico per discutere, agire e dare forma a un mondo condiviso. È nella parola e nel pensiero che essa si radica: due strumenti fragili ma decisivi, oggi quanto mai trascurati.
Vittoria ha fatto proprio questo lascito arendtiano per lanciare un monito: la politica contemporanea, piegata su se stessa, è diventata incapace di visione. Soggiogata al presentismo e alla logica dell’apparenza, essa rincorre spasmodicamente il consenso, smarrendo la propria vocazione progettuale. L’agire si è separato dal pensare; la costruzione del futuro ha ceduto il passo alla gestione del quotidiano. La conseguenza è un “corto circuito” – come lo ha definito il professore – tra una società che domanda trasformazione e una classe dirigente ripiegata sull’auto-rappresentazione.
Richiamando il diritto alla resistenza sancito già nel 1789 e gli esempi del pensiero politico italiano nel secondo dopoguerra, Vittoria ha ricordato come un tempo l’azione politica fosse accompagnata da un’elaborazione collettiva, attraverso seminari, discussioni e confronto tra visioni diverse. Oggi, al contrario, la politica sembra incapace di sostare nel pensiero per generare orientamento, preferendo lo slogan alla riflessione.
Il populismo si nutre proprio di questo vuoto – ha sottolineato – e cresce laddove la politica non riesce più a mediare tra bisogni e diritti, tra storia e futuro e a rispondere alle sfide di oggi: disuguaglianze crescenti, impoverimento culturale, crisi ambientale, guerre e nuove povertà.
Il suo intervento si è chiuso con un auspicio: che scuole, convegni e spazi di pensiero come questo possano diventare “isole” generative – come le ha definite l’Onorevole Bettini – luoghi in cui si ricostruiscono legami, si scambiano esperienze, si torna a dare senso alla parola “politica”.
Sotto la direzione del prof. Franco Vittoria, la Scuola del educazione politica si è confermata, anche questa volta, come un presidio di cittadinanza consapevole, un luogo in cui educare significa formare libertà, responsabilità, senso critico. Non si è trattato di un semplice convegno: è stata un’esperienza civile, un gesto pedagogico nel senso più nobile.
In un tempo segnato dalla crisi della rappresentanza e dall’appiattimento del dibattito pubblico, questa mattina abbiamo riscoperto che la politica si può ancora insegnare, imparare e vivere come vocazione. La Scuola ha rilanciato un messaggio semplice e radicale: senza cultura politica, non esiste democrazia degna di questo nome.