Il tema “macroregioni”, ritornato prepotentemente sulla scena, alla luce degli aspetti involutivi del regionalismo differenziato che potrebbero ripercuotersi sul Sud, si arricchisce di nuovi aggiornamenti in un dibattito che vedrà gli opposti schieramenti politici confrontarsi da qui ai prossimi mesi.Archiviata la stagione della “furia disgregatrice della Lega”, il Nord sta passando dallo “spauracchio” dell’accantonata secessione allo “spettro reale” dell'”autonomia diferrenziata”, restando all’interno del Paese-Italia. Le reazioni scatenatasi contro il dispositivo che mira di fatto a spaccare il Paese fin ora sono state orientate ad una risposta rivendicativa fino a riproporre, provocatoriamente e non, il progetto di una macroregione del Sud. Non è passata molta acqua sotto i ponti da quando si é tentato di abbozzare un’ipotetica quanto improbabile macroregione meridionale. Tra l’altro, un recente disegno di legge, ispirandosi ad uno studio di qualche anno fa, realizzato dalla Fondazione Agnelli, proponeva di suddividere la futura Italia federale su base neo-regionale con la riduzione a dodici regioni, rispetto alle venti esistenti, secondo criteri legati all’autosufficienza finanziaria, all’idoneità a fare da contenitore a progetti di sviluppo, considerando anche il piano delle affinità storico-culturali fra le varie regioni da accorpare. Nello specifico, lo studio prevedeva la suddivisione dell’Italia in dodici macroregioni, ipotizzando un nuovo scenario geo-politico interno che ora ritorna d’attualità portandosi dietro una certa carica provocatotia. Un progetto riposto nel cassetto, che oggi ritorna d’attualitá seppur in una forma e in un contesto notevolmente diversi, per respingere “l’agguato” ordito da un Nord che con l’autonomia differenziata “separa” di fatto il resto del Paese. Ridisegnare, in un impegnativo esercizio cartografico, il volto sfigurato dalla crisi di un Paese irriconoscibile può rischiare di apparire soltanto uno sterile quanto inutile esercizio di geografia politica. Il discorso, però, presenta una complessità che non può e non deve essere aggirata. Il regionalismo ha certamente fallito. Un neo-regionalismo, come quello che sta venendo alla luce, si configura come peggiorativo se non viene abbandonata la perversa logica della disgregazione (economica e socio-culturale) del Paese, contraddizione estrema per un progetto dichiaratamente aggregativo. Una riflessione, in un dibattito che deve ancora del tutto spiegarsi e dispiegarsi, porta ad interpretare in modo piú che nefasto alcuni risvolti del progetto alla base del regionalismo differenziato che si potrebbe caratterizzare anche come potente propulsore di forti tentazioni per spinte autonomistiche da parte del Sud. D’altra parte, come non tener conto che il Mezzogiorno sia un’area vasta che rappresenta un terzo dell’Italia e, all’interno dell’Europa, è il cuore ancora pulsante, anche se sofferente, dell’Europa meridionale e del Mediterraneo, con un’aggregazione in una macro- area di almeno dieci milioni di abitanti. La proposta di una macroregione meridionale é certamente una provocazione, ma non puó essere ridotta soltanto ad una banale provocazione, e potrebbe contribuire a riportare a nuova centralità una deposta “questione meridionale”. La frammentarizzazione del Sud, ovviamente, è tutt’altro discorso. Alla fine, peró, un concetto dovrebbe essere chiaro ed inequivocabile: non si può risolvere e dissolvere tutto, da una parte come dall’altra, soltanto in una questione di ricerca ossessiva del consenso.
di Emilio De Lorenzo