La festa della Liberazione ci ricorda l’importanza della Resistenza.
Senza la Resistenza non saremmo stati liberi.
Senza quegli uomini armati e disarmati, senza quei combattenti nascosti sulle montagne, senza quel fronte oppositivo fatto anche di dissenso clandestino e silenziose rivolte quotidiane, senza quel nucleo di guerriglie e sabotaggi, non avremmo mai assistito alla dissoluzione del Fascismo.
Tutto questo non va dimenticato.
Come non va dimenticata la data del 25 aprile 1945, quando i nazifascisti furono sgominati dai partigiani al grido di: “Arrendersi o perire!”
Fu grazie a quell’insurrezione, a quella mobilitazione caparbia e compatta, che l’Italia tornò libera, che noi tutti tornammo liberi.
Ecco perché questa giornata ha un senso.
Ecco perché quella fiamma di emancipazione che contò rinunce, sacrifici e morti, non va spenta.
Né va dimenticato che i partigiani si nutrirono di idee, che la loro ribellione fu figlia di grandi pensatori, come il torinese Piero Gobetti, fondatore del periodico Energie Nuove e del settimanale La Rivoluzione Liberale cui collaborarono anche Giustino Fortunato, Antonio Gramsci e Luigi Sturzo.
Come non va dimenticato che la Resistenza trovò fiato e cibo nel magistero culturale di tanti intellettuali coraggiosi, alcuni, uccisi dai fascisti: Giacomo Matteotti, Antonio Gramsci, Carlo e Nello Rosselli.
La Resistenza ebbe un comune ipocentro da cui originarono onde dirette a un unico obiettivo: l’abbattimento del regime.
Eppure in essa coagularono dottrine politiche diverse: comunisti e cattolici lottarono fianco a fianco per porre fine a quella triste stagione di soprusi e dispotismo.
Il popolo preparava la strada alla costituzione, a una società finalmente emendata dal buio della dittatura.
Un rovesciamento impresso dal basso, ma definito e deciso dall’alto.
Gli intellettuali ebbero un ruolo-guida: furono i partigiani delle guerriglie condotte con la carta stampata, della rischiosa sfida alla censura e ai veti della propaganda.
Oggi in Italia il Fascismo non esiste più, ma esistono e resistono i suoi fantasmi, il sigillo delle sue esiziali riproposizioni, la grossolanità impulsiva dei suoi moderni duci.
Mancano però i partigiani, sostituiti da cittadini disorganizzati, debolmente protesi a difendere il proprio utile, il proprio egoistico interesse.
E mancano gli intellettuali, in decadenza di mandato, sempre più smarriti e isolati, sempre più sgomenti dinanzi al diktat dei facinorosi, dei rancorosi, dei demagoghi del conformismo e del risentimento.
Manca la superiore mediazione tra le istanze particolari e il bene dello Stato.
La verità è una: abbiamo liquidato la Resistenza. Ne abbiamo calpestato cuore e mente.
Altri erano i partigiani, altro il contenuto ideologico che muoveva le masse.
Noi siamo i partigiani friabili, senza propositi, senza capi autorevoli e senza programmi.
Noi non giuriamo fedeltà a niente, le nostre promesse si ossidano come ferro.
Abbiamo ridotto alla fame milioni di sogni.
Noi siamo i partigiani dell’obbedienza, dei compromessi e delle disuguaglianze, delle virtù volatili e delle coalizioni bugiarde.
Noi siamo i partigiani senza linfa, i partigiani dello sbaraglio, i partigiani della disonestà e della recessione.
Noi siamo i giacobini del menefreghismo.
Nessuno ci addita la via e il viaggio.
Noi siamo i resistenti dello sbando.
Monia Gaita