Ebusus, un’isola del gruppo delle Baleari, posta di fronte alla costa occidentale della Penisola Iberica, è presente in Irpinia per alcune sue monete d’epoca preromana rinvenute rispettivamente: una nel complesso archeologico di Fioccaglia di Flumeri, un’altra in quello di Aeclanum, insieme ad altri 109 nominali di zecche varie, esposte nel Museo Irpino e la terza nel territorio di Rocca S. Felice, proveniente probabilmente da tomba. Dei tre pezzi testé menzionati, quelli di Aeclanum e di Rocca S. Felice sono conservati nel Museo Irpino, mentre quello di Fioccaglia è nei depositi della Soprintendenza archeologica di SA-AV-BN. Attualmente Ebusus si chiama Iviza ed è la terza isola in ordine di grandezza del gnippo delle Baleari; posta vicino a Formentera, un’altra piccola isola dell’arcipelago spagnolo, in antichità, insieme a quest’ultima, fu denominata dai greci Petiuse per la ricchezza di alberi di pini che popolavano i lori boschi. Fu conquistata dai cartaginesi nel VII sec. a. C. divenendo, così la prima colonia fenicia nel mediterraneo occidentale. Per questo rappresentò un importante scalo marittimo per la rete di commercio che Cartagine andava intessendo, non solo nel Mediterraneo, ma anche al di là delle colonne d’Ercole. Fu occupata dai romani per opera di Q. Cecilio Metello nel 121 a.C. e sotto il principato di Vespasiano (69-79- d.C.) divenne Municipium con il nome di Municipium Flavium, Ebusus ebbe come capitale Ebusus, una cittadina con lo stesso nome dell’isola, derivato, secondo alcuni studiosi, dal dio Bes, divinità fenicia o egiziana, venerata nell’isola stessa. Bes è rappresentato in maniera deforme, grottesca, come un nano tozzo con le gambe arcuate, coda, grosso volto incorniciato da una barba particolare, occhi grandissimi, orecchie a sventola molto tese e lingua in fuori; reca spesso sul capo una corona di piume. Nonostante questa raffigurazione che dà l’idea dell’orrido, della perversità, Bes, invece, è il simbolo della gioia, della musica e delle espressioni belle della vita. Protegge i matrimoni, le gravidanze, la vanità ed il look femminile ed il sonno delle persone, stanche. Per questo e per le qualità apotropaiche che gli, furono attribuite, il suo culto fu largamente diffuso nel mondo antico. Nel periodo romano, invece, prese l’aspetto di un guerriero con l’ascia per proteggere i deboli. Le tre monete irpine di Ebusus cronologicamente si inquadrano dal 214-150 a C. al diritto e al rovescio recano la figura di Bes con mazza nella mano destra sollevata. Sono esemplari di bronzo molto piccoli, anepigrafi, discretamente conservati, dal diam. di 16 mm. e dal peso di gr.1,55- 2,55 ciascuno. La loro presenza in contesti archeologici in territorio italico non è molto frequente. Per ora è limitata a qualche unità sporadica, come a Pietracatella, presso Campobasso, nell’ Appennino molisano e nel territorio irpino. Soltanto a Pompei, invece, come riferisce il Prof Attilio Stazio, fu rinvenuto in una cunetta di scarico delle acque sottostante ad uno edificio termale, un tesoretto di 90 monete di cui 53 di Ebusus, non tutte della stessa tipologia; una parte, infatti, reca al diritto il dio Bes e al rovescio un toro; l’altra, invece, sia al diritto che al rovescio riporta l’immagine di Bes, come i tre esemplari irpini. Per spiegare la presenza di questi nominali di Ebusus in territorio irpino, come egualmente a Pompei, per prima bisogna tener conto dell’intraprendenza commerciale, dei balearici e del loro spirito avventuriero. Dal IV sec. a.C. in poi essi militano negli eserciti cartaginese, greco e romano e sulla loro leggendaria abilità; la tradizione letteraria antica dà ampie notizie. Inoltre, la partecipazione della Campania degli ultimi due secoli della repubblica romana allo sfruttamento delle miniere di rame nelle Baleari e la sua collaborazione alla colonizzazione della Spagna attesta una continuità di rapporti delle popolazioni osche con la regione iberica e rende con una certa sicurezza spiegabile la frequenza a Pompei, in Irpinia ed in altri luoghi sconosciuti, delle monete di Ebusus. In più, bisogna tener presente che Aeclanum e Fioccaglia di Flumeri erano poste su un nodo viario di notevole importanza che univa il Tirreno e l’Adriatico, perciò rappresentarono per l’Irpinia sannitica e romana due centri di forti interessi commerciali e culturali, come si evince dalle evidenze archeologiche. A Rocca S. Felice, poi, il Santuario di Cerere Mefite richiamò popolazioni salmodianti di varie etnie, dalla mesogaia e dalla paralia, che lasciarono l’impronta della loro cultura e della loro fede.
Di Consalvo Grella pubblicato il 06/08/2013 sul Quotidiano del Sud